Mauro
Minnella
Aurea Mediocritas?
Una nuova visione dell’uomo
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© Mauro Minnella 1999-2007
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INTRODUZIONE
Se chiedete ad un fisico che cosa succede ad un sasso lanciato per
aria, egli vi risponderà che esaurita l’energia applicata esso
ricadrà di nuovo a terra. E se quindi gli chiedete se accadeva così anche in passato, quello vi
risponderà di sì guardandovi con aria stupita e dubbiosa sulle vostre capacità mentali.
Se chiedete ad uno zoologo se il rinoceronte ha avuto e avrà
sempre il corno sul naso egli vi risponderà di sì, perché se no
non sarebbe un rinoceronte ma un’altra specie.
E così, da qualsiasi altro scienziato di qualunque altra
branca scientifica, avrete una risposta che abbraccerà presente passato e futuro. Non
risponderà mai “io non lo so perché di occupo solo di fenomeni attuali”. Le
leggi che egli conosce valgono sempre, in qualsiasi disciplina.
Escluso quelle che riguardano l’uomo.
Infatti se chiedete ad uno storico cosa ne pensa della condizione della
donna, egli vi risponderà che non ne sa niente, perché lui si
occupa di storia e non è un sociologo. Se chiedete ad un sociologo quale sarà lo sviluppo della
società europea, vi risponderà che non ne sa niente, perché lui si occupa della
società attuale e non è un politico.
L’uomo è l’unico oggetto di studio che
sembra essere diverso oggi da ieri e da domani.
Ma è poi vero?
Può essere che esso non segua delle leggi universali e
fisiche immutabili come quella di gravità che regola la caduta di un sasso?
Può essere che esso non reagisca e non sia subordinato a
leggi naturali che regolano la vita degli altri animali?
In effetti è un animale diverso dagli altri: è
l’unico che è consapevole della sua situazione fisica e della legge ineluttabile della morte.
Ma pensare e accettare la propria condizione di annichilimento in un
universo infinito può essere assolutamente insopportabile. Ecco che esso, per
allontanare questa idea o renderla più sopportabile, ha dovuto in qualche modo
dimostrarsi diverso da gli altri animali e oggetti dell’universo.
Infatti esso si è inventato un’anima e quindi una
seconda vita; ha riconosciuto solo a sè stesso la caratteristica dell’intelligenza. Ha
ignorato nei suoi studi su sè stesso tutte quelle leggi che potevano riportarlo ad un universo fisico costituito
da oggetti.
Se possedete un gatto è probabile che lo abbiate visto
aprire la porta di una stanza, aggrappandosi con un balzo alla maniglia.
Se raccontate questo fatto a qualcuno, quasi immancabilmente questo vi
risponderà che il gatto agisce per istinto. Provate a convincerlo che questa
è intelligenza, magari dicendo che quando è comparsa sulla terra la specie gatto,
né le porte né le maniglie esistevano ancora, non ci riuscirete.
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Il fatto è che classificandola come istinto, si evita di
dover riconoscere che il gatto possiede una intelligenza qualitativamente uguale alla nostra, anche se
in quantità minore. Questo non è accettabile perché
costringerebbe ad ammettere che la differenza tra noi ed un gatto è solo alcuni chili di cellule nervose
in più, ma per il resto siamo come lui, soggetto alle stesse leggi a cui lui è
soggetto.
Ecco quindi che abbiamo scienze che studiano il passato, altre che
studiano il presente ed altre che studiano il futuro, ma inoltre solo alcuni aspetti,
così abbiamo: storia, paletnologia, politica, etologia, sociologia, psicologia, psicologia di
massa, medicina, storia dell’arte, critica artistica, sociologia della
comunicazione, ecc. ecc. ecc.
La giustificazione più usuale è che
l’uomo si evolve e quindi cambiano i fatti e le leggi che lo riguardano. Eppure proprio la storia potrebbe dimostrare, se
usata nel modo corretto, con un confronto con la realtà attuale, che questo
non è affatto vero e che le leggi fondamentali che governano l’uomo e la sua evoluzione,
anche se cambia la forma dei fatti, sono sempre le stesse ed appartengono alla stessa
fisicità di tutti gli altri oggetti di questo universo.
Questo libro è un tentativo di evidenziare alcune di queste
leggi, e di capire le conseguenze a cui esse portano, hanno portato e porteranno.
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UNA MATEMATICA PER “STUDIARE” L’UOMO
L’unica branca scientifica dell’universo fisico a
cui è stato riconosciuto un ruolo nello studio dell’uomo è la statistica.
Forse perché essendo così lontana dalla
realtà dei fatti, basti pensare alla ormai famosa statistica del pollo medio, essa non sembra preoccuparsi troppo dei
fatti sostanziali e dell’uomo. In effetti l’uso finora si è
limitato agli exit-poll, alle ricerche mediche e alle ricerche di mercato o poco più.
In realtà essa può fornirci degli elementi di
indagine ben più adeguati. Esistono alcuni concetti statistici, notissimi agli addetti ai lavori, ma non
necessariamente a chi si dedica
ad altre discipline *.
Verranno qui richiamati per questi ultimi, in modo molto
esemplificativo e cercando di evidenziare le relazioni con questa indagine.
Campioni: sono i dati quantitativi che abbiamo a disposizione per i
calcoli, ottenuti con misurazioni o verifiche dirette.
Popolazione: l’intero insieme dei soggetti presi in
considerazione su cui effettuare le valutazioni.
Distribuzione: un diagramma se espressa in forma grafica o una funzione
se in forma matematica che lega la quantità dei campioni o membri della
popolazione con l’intensità della caratteristica per cui sono
esaminati.
Ad esempio col classico pollo, se facciamo una indagine e interroghiamo
un certo numero di campioni, sapremo che 3 di questi mangiano un pollo alla
settimana, 5 ne mangiano 2 e 3 ne mangiano 5. Se noi mettiamo in fila questi valori in
ordine crescente avremo la distribuzione dei mangiatori di pollo.
Media: è il semplice valore numerico della somma di tutti i
valori rilevati diviso il numero dei campioni. Nel nostro esempio la media è
più 2 polli la settimana. Questo calcolo è basilare per dimostrare che i vegetariani sono
degli impostori e sicuramente si mangiano i loro polli di notte non visti da nessuno ** .
Gaussiana: è una funzione fondamentale della statistica:
essa esprime la distribuzione di un fenomeno casuale. Graficamente essa assomiglia ad una campana con
gli estremi sinistro e destro, che sia avvicinano sempre più alla linea
di zero man mano che ci si allontani dal centro.La linea di zero è come suol dirsi
l’asintoto sia per la parte sinistra
Note a pié pagina __________________________________________________
* Molti dei concetti esposti di seguito sono noti e perfino banali a
chi si occupa in specifico delle discipline da cui essi derivano, ma non necessariamente noti agli altri
lettori specialisti di altre discipline. Saranno dati quindi qui in maniera la più
intuitiva possibile.
** Questo ed altri tipi di ragionamento verranno esaminati in seguito.
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che per la destra. Il centro della campana è la media. Nel
nostro esempio 2 polli e un pezzo (non è specificato se
l’ala, la coscia o il petto).
La campana può essere più o meno ampia, ma per le sue
implicazioni su questo studio in questo momento ciò non è
importante.
Quello che è invece fondamentale sono alcune osservazioni di
conseguenza: la quantità dei campioni che presentano il valore
medio è la maggiore (infatti sono quelli che determinano
maggiormente il valore medio).
Il numero dei campioni che presentano il valore minimo è minimo,
ugualmente è minimo il numero dei campioni che presentano il
valore massimo.
Essa è una funzione “naturale” nel senso
che essa si applica a qualsiasi misurazione statistica su qualsiasi oggetto in natura. Una distribuzione rilevata
che non segua la funzione gaussiana è indice di una anomalia o di calcolo o
di rilevamento o di situazione anomala e/o patologica dei soggetti esaminati.
Questa funzione è indipendente dal numero dei campioni,(al
di sopra evidentemente di un valore minimo che possa evidenziare i vari valori possibili),
quindi vale anche per l’intera popolazione.
Rifacciamo l’esempio in riferimento ad una caratteristica
dell’uomo: l’intelligenza. Distribuiamo quindi la quantità di persone in funzione
dell’intelligenza e otterremo una gaussiana con all’estremità sinistra gli
idioti e all’estremita destra i geni. Al centro avremo i valori medi, cioè mediocri *. Questi
rappresenteranno la maggioranza dei campioni e la media dei valori. Possiamo anche affermare che la
maggioranza è
mediocre o mezza idiota o mezza intelligente, a seconda di cosa
vogliamo esaltare o nascondere.
Ancora, se gli idioti completi sono per fortuna molto pochi, sono molto
pochi però anche i veri genii.
Sviluppare queste considerazioni e applicarle in modo più
generale all’uomo porta a conseguenze nuove ed estremamente interessanti.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Il termine mediocrità ha assunto una connotazione
negativa, in realtà è solo un sinonimo esatto di media, che una “Cultura della Gloria” ha indicato a
pubblico disprezzo. La scelta tra mediocrità e straordinarietà (ciò che esce
dall’ordinario, cioè per l’appunto dalla
mediocrità) è un fatto puramente statistico ( e quindi ineliminabile) oltreché individuale.
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UNA DEFINIZIONE: L’INTELLIGENZA
La parola intelligenza viene dal latino “inter” e
“ligare”, cioè significa la
capacità di legare tra di loro e trovare le relazioni tra i fenomeni che i nostri
sensi rivelano e trovaresoluzioni ai problemi che ci vengono posti dalla realtà in
cui viviamo.
In particolare classificare, astrarre, definire leggi e metodi per il
presente e il passato e prevedere, progettare e immaginare per il futuro.
Secondo questa definizione è un atto di intelligenza la
strategia di una battaglia o un programma politico, tanto più pieno quanto più
efficace a ottenere il compito voluto.
Ma questo sposta l’attenzione su ciò che si vuole
e il perché.
Molti dei fraintendimenti e degli errori di strategia, anche su fatti
banali e quotidiani, derivano proprio dal non aver sufficientemente considerato questo
aspetto.
Possiamo dire, a titolo esemplificativo, che ci sono tre tipi (o
livelli) di intelligenza.
Uno è quello puramente fisico, determinato dal numero di
neuroni e dalle altre caratteristiche del cervello.
Un secondo livello è quello derivato dalla cultura.
è chiaro che avendo più conoscenze sarà più facile dare risposte o giungere a
conclusioni adeguate.
Il terzo è quello della curiosità, la
volontà e il desiderio di conoscere e capire.
Questo è il più importante di tutti,
poiché obbliga a continue verifiche le nostre conclusioni fino ad ottenere la maggior aderenza alla realtà.
Da evidenziare che non sempre immaginazione è intelligenza.
A volte è solo fantasia.
La differenza risiede nel fatto che la fantasia non necessita, anzi
aborre, legami con la realtà e una coerenza interna che la portino ad un risultato
definito.Anzi, anche nelle accezioni comuni, essa è intesa come
l’antitesi di intelligenza, proprio in particolare in riferimento a cose che si ritengono irreali o
irrealizzabili.
Credere nelle fate e nei folletti è fantasia, dimostrarne la
loro fisica esistenza è opera di intelligenza.
Sempre ammesso che in realtà le fate ed i folletti esistano.
L’intelligenza è quindi fatta da due aspetti
congiunti e ineliminabili: il ragionamento (procedura)e i dati (variabili e costanti).
Tra parentesi il corrispettivo nel campo dell’informatica,
per evidenziarne la loro interazione: una procedura che non elabora qualche dato, non ha alcun
valore. Dei dati che non vengano elaborati da una procedura non hanno molto valore.
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Perché un ragionamento sia atto di intelligenza deve
elaborare in modo corretto dei dati corretti, altrimenti in uno qualsiasi degli altri casi i risultati
saranno sbagliati e il livello di intelligenza sarà basso o nullo.
Sarà sostanzialmente una fantasia ( ci sono state purtroppo
fantasie che hanno portato a tragici risultati, anzi sempre questo è successo quando si
è voluto che una fantasia diventasse realtà).
L’incapacità di conoscere ogni cosa, anzi le
nostre infime conoscenze ci portano a risultati assai scarsi, tanto più facilmente quanto maggiore
è l’ambito di applicazione del nostro progetto e di conseguenza maggiori le conoscenze necessarie.
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UN EFFETTO: LA SINERGIA
Se l’intelligenza nel suo complesso è un dato
puramente individuale, è pur vero che l’insieme di più individui può
aumentare le conoscenze di ognuno di essi. Conoscenze intese sia come dati da elaborare ma anche metodi e procedure di
comprensione e di soluzione.
L’insieme di questi dati e metodi comuni costituiscono una
cultura. Poiché l’acquisizione di questi richiedono un notevole sforzo per essere acquisiti per
esperienza diretta, (anzi assolutamente impossibile se non per una frazione del
tutto insufficiente ad una visione in qualche modo coerente con la realtà), il
poter usare ciò che una cultura ci mette a disposizione è un aiuto notevole per
aumentare ogni singola
intelligenza che a questa si riferisce. Ciò è un
effetto sinergico.
Si ha una sinergia quando un gruppo di azioni o agenti ottengono un
risultato superiore a quello ottenibile per pura somma matematica da ognuno dei
singoli componenti.
La storia ci mostra come tutta l’evoluzione
dell’uomo è il risultato di questa sinergia:
è inconcepibile una qualsiasi invenzione e scoperta attuale,
senza la conoscenza di concetti e metodi scoperti in epoca precedenti: Internet non
è stata possibile senza la conoscenza anche della sola legge di Ohm, perché non
conosceremmo l’elettronica e quindi saremmo incapaci di inviare un qualsiasi segnale via radio (ed
in effetti, prima della scoperta dell’elettricità la massima
velocità di trasmissione era quella resa possibile dello sventolio di bandiere, qualche byte al secondo
insomma).
Ma non solo questo è evidente verticalmente, cioè
in successione di conoscenze una conseguente all’altra, ma anche orizzontalmente,
cioè considerando che il risultato attuale dipende da molte discipline specialistiche con pochi od
altrimenti nulli punti di contatto tra loro (nell’esempio di Internet, citandone
solo alcune, possono essere: elettronica, metallurgia, fisica della propulsione, perché
essa è stata resa possibile non sola dall’elettronica, ma anche dalle realizzazioni spaziali
che hanno permesso l’invio dei satelliti di comunicazione).
Questo concetto di sinergia è estremamente importante, non
solo per comprendere alcuni meccanismi del comportamento umano, ma anche perché
può diventare un indicatore della adesione alla realtà di una strategia, non
importa a che livello: economico, politico, militare, culturale o semplicemente personale.
È anche importante capire che esiste un debito umano nei
confronti di chi è venuto prima di noi, che chi reclama diritti per le proprie scoperte, dovrebbe
pagare il suo debito nei confronti di chi gli ha reso possibili le conoscenze
necessarie alla loro realizzazione. O per meglio dire, sarebbe comunque doveroso ricordargli
che non è solo merito suo ma della società intera che gli ha offerto i
mezzi per le sue realizzazioni.
Se qualcuno pretende di no, dovrebbe essere costretto a dimostrare che
da solo sarebbe stato in grado, (senza imparare da nessun altro) di
reinventarsi tutto quello che l’umanità ha inventato nella sua storia a
cominciare dalla scoperta del fuoco.
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IL BILANCIO
In fisica esiste un principio fondamentale: nulla si crea e nulla si
distrugge, ma solo si trasforma. In economia esiste lo stesso identico principio espresso in
forma diversa: ad ogni movimento di valore attivo deve corrispondere un movimento di un
valore passivo.
È per questo che il risultato finale di una
contabilità è chiamato bilancio,
perché, come in una bilancia a due piatti, quello delle attività deve
avere lo stesso valore di quello delle passività, altrimenti c’è
qualcosa di innegabilmente sbagliato.
Se questo principio è valido in economia esso è
valido in molte attività umane, perché esse hanno un risvolto economico. Ma se classifichiamo come
attività e passività anche cose che non sono direttamente denaro, come gioia e
felicità, dolore ed infelicità, allora questo principio diventa valido anche per tutte le
attività umane. Anzi esso ci permette, come in un bilancio economico, di aggruppare vari tipi di
attività e passività, che a prima vista non sembrano avere nulla di comune, in conti che nel
bilancio evidenzino le loro nascoste (ed insospettate) relazioni.
A chi è scettico a questo riguardo, suggerisco di pensare a
cosa costa alla comunità, per il momento in termini esclusivamente economici, la disperazione che
porta qualcuno a gettarsi sotto un treno.
Questo non significa che il valore materiale sia la misura di tutte le
cose, ma preme mettere solo in evidenza che esistono delle relazioni che da un lato
hanno un valore in qualche modo misurabile e dall’altro sono spesso, o quasi
sempre taciute e più o meno volontariamente ignorate, con la scusa che non sono fatti
materiali, nella valutazioni per prendere decisioni. Anzi, l’ignorarle
permette spesso di sostenere come positive opinioni che in realtà comportano costi sotto altri
aspetti (cioè non economici) insopportabili. In termini contabili queste opinioni sono da
classificare come ‘falsi in
bilancio’.
Questi concetti e queste relazioni, possono permetterci invece una
valutazione corretta di una realtà e aiutarci a scegliere la soluzione
più vantaggiosa rispetto all’obbiettivo voluto. Quale sia questo, dipende sotto quale intestazione di conto
vogliamo ascrivere il nostro guadagno: benessere materiale, vita ultraterrena, conoscenza
e vita spirituale o qualsiasi altra cosa.
Ma se in un bilancio economico il valore si misura in una moneta
corrente, ad es. lire o dollari, esiste una unità di misura per misurare il valore
delle relazioni umane? Ancora non esiste qualcosa di valore così definito, come
può esserlo una moneta di corso legale, ma possono esserci comunque degli indicatori sufficientemente
validi a permetterci una valutazione veritiera di guadagni e perdite.
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L’ENTROPIA
Uno dei principi fondamentali della fisica, complementare a quello di
conservazione dell’energia, è quello di entropia, che presenta
due formulazioni equivalenti che evidenziano due aspetti diversi:
a) l’entropia è l’energia dispersa ed
inutilizzabile in un processo di conversione energetica. (2o principio della termodinamica).
b) essa rappresenta l’equiprobabilità
(cioè l’uguale probabilità) che si
verifichino eventi diversi rispetto ad una regola di selezione.
La prima può essere anche espressa con un detto popolare:
“Acqua passata non macina più”. Esprime cioè che la parte di
energia dispersa non può essere in nessun modo recuperata al processo che l’ha generata. In un processo
continuativo, questa energia dispersa (di minor valore) si accumula fino a che tutta
l’energia disponibile * non si è esaurita. A quel punto il processo comunque termina, e non
può essere riavviato.
La seconda espressione è più complessa, e forse
sarà più facile chiarirla con alcuni esempi: i caratteri dell`alfabeto rappresentano un’entropia
rispetto ad un messaggio, il vocabolario l’entropia rispetto al linguaggio, le
temperature medie delle molecole rispetto al processo di trasformazione calore/movimento. Il vocabolario
è una regola che discrimina tutti i possibili aggruppamenti di caratteri in un
numero limitato di essi: le parole. Nello stesso modo un messaggio è una regola che
discrimina solo alcune parole rispetto alla entropia di esse rappresentata dal vocabolario.
Senza questa regola (e quindi se tutte le parole hanno la stessa probabilità di
essere usate) non vi può essere la trasmissione di un senso compiuto.
Se non è possibile avere un gruppo di molecole del gas
generato dallo scoppio della benzina più caldo delle altre molecole
dell’ambiente non sarà possibile avere la conversione di energia da calore a movimento.
L’entropia è quindi anche la contropartita di un
processo e del suo rendimento.
Anche questo principio vale nell’ambito umano, ad esempio
l’elezione è la regola che discrimina gli eletti dalla entropia dei cittadini.
Una considerazione da fare è che il secondo principio della
termodinamica evidenzia che l’entropia può solo aumentare. Questa
considerazione è importante, e verrà richiamata in seguito per evidenziare alcune importanti fenomeni
nell’ambito umano.
Note a pié pagina __________________________________________________
* L’energia totale disponibile al processo, cioè
anche quella che può essere fornita in qualsiasi modo dall’esterno .
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UN ALTRO CONCETTO: EFFICIENZA O RENDIMENTO.
Discendente dal concetto di entropia è quello di efficienza
o rendimento. Ogni volta che si compie una trasformazione, ad esempio nel motore a scoppio tra
il calore generato dalla benzina e il movimento meccanico, abbiamo visto una
parte della energia inizialmente a disposizione va dispersa in modo irrecuperabile.
Non è una contraddizione col principio della conservazione
dell’energia, ma significa che, pur
continuando ad esistere, questa energia è inutilizzabile per
il nostro scopo.
Il rapporto tra l’energia utilizzata effettivamente e quella
iniziale ci dà il valore del rendimento.
E’ un concetto importante, perché da un lato ci
rende coscienti che in ogni situazione reale ci sono inevitabilmente delle perdite, dall’altro
perché può essere uno degli indicatori prima citati.
Ma se ci sono inevitabilmente delle perdite, allora dobbiamo scegliere
sotto la voce di quale conto siamo più disposti a sopportarle: inquinamento,
delinquenza, disinteresse, infelicità o altro?.
L’importante è rendersi conto che se queste
perdite le forziamo via da un conto esse ricompariranno sotto altra forma in un altro.
Tutto quello che si può fare è cercare di
mantenerle al minimo, e magari, come col riciclaggio in termini ecologici, recuperarne una parte.
Ma è
possibile recuperare l’infelicità?
Si. Verrà più chiaro come, con le analisi che
seguono.
Più alto il rendimento, minori (per definizione) le perdite.
Il rapporto tra il rendimento teorico e quello realmente ottenuto può darci la misura della
validità dei nostri sforzi.
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GLI STRUMENTI E IL CAMPO DI INDAGINE.
I concetti fin qui esaminati, possono diventare gli strumenti di
partenza per una indagine sulle attività umane e le leggi fondamentali che le
regolano. Altri concetti emergeranno in seguito da questo lavoro.
Sarà una ricerca trasversale che cercherà di
collidere con la maggior parte delle scienze umane, perché possano venire alla luce quelle leggi
fondamentali comuni oggi rese invisibili dall’artificioso frazionamento dei campi di
indagine che interessano l’uomo.
Artificioso perché invece di essere considerati come diversi
punti di vista di una stessa realtà, essi sono condizionati nella loro
validità dai fattori di ambiente: alla psicanalisi interessa l’individuo da solo, alla sociologia
l’individuo assieme agli altri. Ma l’individuo nella società non agisce anche per motivazioni dinamiche
profonde? E molte manifestazioni sociali non sono forse il la proiezione e soprattutto il sinergismo di
sindromi psicologiche individuali?
E ancora: le restrizioni sociali (disoccupazione, insicurezza economica
ecc..) non determinano forse anche stati patologici individuali?
Una delle leggi fondamentali dell’esistenza è che
si trova quello che si cerca. Newton non ha scoperto la legge di gravità perché gli
è caduta una mela in testa, ma perché questo fatto lo ha portato a considerare nuovi aspetti e associazioni
di idee su delle domande che già da tempo si poneva e di cui aveva dati e
procedure disponibili ( cioè le leggi fisiche già elaborate da altri scienziati). La
dimostrazione sta nel fatto che nonostante le mele cadano dagli alberi tutti i giorni e così
un quantitativo innumerevole di oggetti, a nessuna altra persona è venuto in mente di
enunciare la legge di gravitazione universale. Evidentemente la concomitanza di almeno queste
tre condizioni: un oggetto che cade, la conoscenza delle altre leggi di matematica e di
fisica, e la curiosità verso questo fenomeno rappresentano un evento,
in termini statistici, alquanto poco probabile.
E' chiaro quindi che finche la nostra curiosità
è diretta solo verso un aspetto di un realtà otterremo solo risposte incluse in e schiave di
quell’aspetto. Per trovare leggi generali dovremo quindi considerare ogni aspetto come equivalente a tutti gli
altri, e soprattutto solo come un dato dichiaratamente parziale di un unico fenomeno.
Solo per comodità di itinerario la partenza sarà
in relazione a fenomeni politici, poiché la politica coinvolge sia gli aspetti privati che pubblici
dell’uomo, perché essa deve dare degli effetti reali, quindi più facilmente valutabili,
ed infine perché questi portano delle conseguenze totali nella vita di una persona, compresa la vita e
la morte. Dalla culla alla tomba
Quale può essere la definizione della politica? Forse la
più onnicomprensiva può essere: la scienza e la tecnologia delle attività e delle
relazioni umane. Certamente una definizione così larga lascia la possibilità di
definire politica anche scienze normalmente intese come estranee alla politica. Ma questo è legittimo.
Pensiamo ad alcune branche: urbanistica, ad esempio, non è forse una attività
politica dato che deve studiare e pianificare l’uso di una città e quindi in qualche
modo condizionarne gli abitanti?
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In effetti, anche come espressioni di tutti i giorni sentiamo parlare di
politica della casa, come d’altronde di politica culturale, industriale ecc.
Quello che è più difficile da definire
è lo scopo. Poiché ogni corrente di pensiero politico ne ha indicato uno diverso. Probabilmente il più
generale potrebbe essere:
ottenere le migliori condizioni di vita per il maggior numero di
individui.
Due considerazioni su questa definizione: la prima è che le
migliori condizioni sono soggettive rispetto quello che il singolo individuo desidera e si
aspetta *. La seconda è che si presuppone l’impossibilità di avere
condizioni ottimali per tutti (lo sappiamo già che ci sono delle perdite).
Note a pié pagina __________________________________________________
* Vedi cap. Capitale e capitalizzazione
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LA POLITICA
Il primo campo di indagine quindi è la politica, intesa come
dottrina di governo di una società, non di applicazione di una ideologia
all’azione sociale.
In generale possiamo vedere due tipi fondamentali di organizzazioni
politiche in una società: quella monocratica (regno, dittatura) e quella
democratica, tralasciando le forme intermedie, in genere oligarchie che assumono poi,
caratteristiche dell’uno e dell’altro tipo.
La democrazia: il governo del “popolo” o della
“maggioranza”. La prima immediata constatazione è che se questa è il governo della
maggioranza essa non può essere che il governo della “mediocrità”.
Si può obiettare che pur esistendo tante persone di
intelligenza media, il sistema democratico permette di eleggere ai posti decisionali proprio le
persone più intelligenti.
Proviamo dunque a ragionare su alcuni fatti: 1) uno stupido non
può capire una persona intelligente: è una contraddizione in termini, se
potesse farlo sarebbe intelligente almeno quanto l’altro, ma abbiamo invece presupposto che sia
stupido.
2) due stupidi non equivalgono ad uno intelligente. Anche se
l’unione di più persone aiuta a comprendere meglio un problema, e che quindi si possa ammettere
una “intelligenza di gruppo”, la possibilità
di comprensione del fenomeno in realtà rimane un fatto individuale, facilitata da un maggiore quantità di
conoscenze apportata dagli altri individui del gruppo.
D’altra parte se questo non fosse
vero, potremmo pensare che un branco (sufficientemente numeroso) di scimmie potrebbe capire e
agire come può un singolo uomo.
3) ognuno tende a scegliere quello che riesce a capire. Nessuno
può essere convinto di qualcosa che non capisce e di cui quindi egli non sia già
convinto.
Certo, il comizio elettorale tenta di convincere l’elettore
che la scelta di quel candidato sia la migliore, ma nella realtà tenta di fare apparire
questa come la realizzazione di quella. Il candidato non può dire all’elettore:
“vota per me perché ripristineremo la pena di morte” ad un membro di Amnesty International.
Dovrebbe rimettere in discussione tutto una scala di valori derivati da una intera esperienza
di vita. Però lo può dire ad un elettore senza una specifica coltura se
riesce a fargli apparire un nesso tra la pena di morte e la soluzioni dei problemi
dell’universo. Ma attenzione, solo se questo legame è talmente labile e indefinito, che non
richieda spiegazioni e ragionamenti razionali, perché probabilmente in questo caso esso
coinvolgerebbe fattori ed esperienze in contrasto di nuovo con altri valori ormai acquisiti
dall’elettore.
In effetti la controprova di queste affermazioni, viene
dall’uso frequente e generalizzato dello slogan, col suo contenuto di ambiguità e di falsi
ragionamenti * basati su
Note a pié pagina __________________________________________________
* Vedi capitolo: Elementi di illogica
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preconcetti che rende superflua qualsiasi necessità di
spiegazione. E proprio questa ambiguità che permette all’elettore (o al
compratore di benessere e tranquillità, il che
è poi la stessa cosa) di ritrovare le
“sue” idee in quella frazione politica.
Come corollario, ne discende che in una organizzazione di tipo
democratico, la popolazione degli eletti è simile alla popolazione degli
elettori. Anzi, ne è lo specchio
fedele.
Va fatta una distinzione tra due sistemi più frequenti:
quello proporzionale e quello maggioritario. Distinzione importante non nella sostanza di quanto
sopra, ma nei modi
in cui si esplica l’attività politica e la
partecipazione della società.
a) Il sistema proporzionale riporta esattamente la realtà
della popolazione degli elettori a quella degli eletti. La maggioranza sarà
mediocre, una opposizione minoritaria di stupidi ed una opposizione minoritaria di intelligenti. I piccoli
partiti raccolgono quindi o persone stupide o intelligenti. O meglio, sono i partiti che
nascono e crescono per aderire alle nuove necessità della vita sociale, formati
da persone che di queste sono consapevoli per maggiore intelligenza e sensibilità,
oppure rappresentano valori, non più adeguati e di fatto superati dalla storia, per
persone che di questo non si sono
ancora accorte.
Le nuove necessità sociali lentamente vengono accolte, anche
dai partiti di centro solo e quando sono ormai urgenti , e poi pian piano diventano fondamentali
solo per i partiti dei nostalgici e degli stupidi.
Le idee e le necessità sociali sembrano percorrere da un
estremo all’altro la gaussiana, a seconda della prevedibilità e dell’urgenza di
esse, accumulando una specie di ritardo o di sfasatura tra quando sono prevedibili e facilmente risolvibili, a
quando sono urgenti ma così dirompenti ed incontenibili che qualsiasi soluzione
non è più adeguata ed infine quando esse sono ormai irrilevanti rispetto ai cambiamenti
causati. Tutto ciò e simile alla piena di un fiume, che potrebbe essere evitata prendendo
adeguate misure al primo accenno, ma che viene fronteggiata con sacchi di sabbia al
culmine e poi non
rimane che piangere su quello che si è perso, quando alcun
rimedio non è più possibile *.
Un corollario: il piccolo partito non può pensare di
arrivare al governo se non nel momento in cui le nuove istanze di cui è portatore siano
state generalizzate e volgarizzate (ed impoverite) in modo tale da poter essere comprese
dalla maggioranza.
Il ruolo possibile ,quindi di un piccolo partito di opposizione **
è quello di funzionare come promemoria per tutti gli altri delle problematiche e delle istanze
che esso porta avanti.
Note a pié pagina __________________________________________________
* vedi anche il cap.: Il metodo bang bang
** il grosso partito di opposizione rappresenta una fascia della
maggioranza, anche se una parte dei contenuti `e antitetica alla maggioranza, la visione globale della
società in cui opera è pure coerente
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B) sistemi bipartitari. Sono quei sistemi politici in cui possono
esistere solo un partito di maggioranza e uno di minoranza. Sembrerebbe dunque che il partito
maggioritario sia quello dei mediocri, e quello minoritario quello degli intelligenti
e degli stupidi assieme.
A parte il fatto che difficilmente uno stupido può trovarsi
a condividere idee di un intelligente (anche se poi qualcheduno può essere tanto
stupido da fraintendere e stravolgere nel modo a lui comprensibile il pensiero di significato
totalmente opposto), in realtà la parte più stupida e quella
più intelligente della società rimane estranea
alla gestione politica “istituzionale”, da entrambe
sentita inadeguata a capire le proprie esigenze. Può essere interessante verificare i dati di
partecipazione alle elezioni, confrontando i due sistemi rispetto alle percentuali di votanti.
Non sembra un caso, almeno a priva vista, che nei paesi di
più lunga tradizione a sistemi bipartitari è più
forte
l’associazionismo, che viene ad assumere la funzione di sfogo
delle energie innovatrici (ma anche di quelle retrograde) che non
riescono a trovare espressione all’interno del sistema
istituzionale.
Che sia una lobby economica, una associazione ambientalista, o una
setta religiosa, è comunque una associazione che agisce al di fuori del canale
parlamentare il quale rimane delegato in un certo senso a questioni di ordinaria
amministrazione ( e quindi mediocremente importanti).
Esso, per mediocre capacità intellettiva, non è
in quindi grado di valutare processi che invece richiedono forte intelligenza.
La minoranza e la maggioranza parlamentare, in realtà sono
la stessa espressione di mediocrità *, pure se con differenti motivazioni, in
particolare là dove essa è di frequente alternanza, come nei paesi anglosassoni.
Se partiamo dal presupposto che ad un partito aderiscano quelli che
pensano in un modo e nell’altro quelli che la pensano in modo contrario **
, dovremmo pensare che l’alternanza sia dovuta al fatto che il partito di
opposizione sia riuscito a convincere molte persone dell’altro partito che le sue idee sono
migliori.
Il che è legittimo. Però questo avviene dopo, non
prima. Altrimenti sarebbe stato al governo e non all’opposizione, e quindi non ci sarebbe stata
alternanza.
Di conseguenza se ora è dalla parte della ragione, allora
bisogna dedurne che prima sbagliava. con quello della maggioranza.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Spesso di fronte ad un problema, le due parti rappresentano solo
l’alternativa di un aspetto od una soluzione parziale del problema, mentre due minoranze extraparlamentari
propongono una la
soluzione più completa, l’altra una completamente
sbagliata.
** Tertium non datur?
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Per cui se vi è alternanza frequente, vuol dire che i due
partiti sbagliano spesso, e quindi non sono molto intelligenti ma in fondo nemmeno molto stupidi
entrambi, cioè sono mediocri. Ammettiamo anche che quello di
maggioranza sia stato il più convincente. Indubbiamente per fare questo ci vuole molta bravura,
perché bisogna riuscire o a stravolgere idee già acquisite dalle esperienze
personali o, più facilmente,
bisogna riuscire a rendere il proprio programma talmente ambiguo da
farlo accettare anche all’elettore del partito prima al governo. Impresa
vieppiù ardua in funzione di quanto l’elettore è convinto della scelta
già fatta, ma più facile per chi invece non
è conscio della giustezza delle sue scelte ed è incapace di
valutarle appieno.
Un esercito di incapaci a decidere * è quindi quello che si
sposta da un partito all’altro, e ne determina il successo o meno. Di stupidi dunque. La parte
più stupida della media è quella che condiziona il potere politico di una
società, ed in una ipotesi ottimistica si potrebbe pensare che il suo oscillare permette di mantenere un
valore politico medio, in una pessimistica invece che il potere sia sempre in mano a
quel partito che ha proposto le scelte meno felici.
Ma nella realtà, se un partito vuole aumentare i voti deve
portarli via all’altro. Deve quindi proporre soluzioni che siano grate all’elettore
dell’altro partito, senza che diventino sgradite ai suoi elettori, quindi navigare al centro quasi
sulla stessa linea dell’altro, il che lo porta ad essere sempre più
difficilmente distinguibile dall’altro.
Niente proposte estremistiche o solamente avanzate e previdenti, che o
richiedano troppa discussione. Cercando di scontentare il minor numero di persone.
Sostanzialmente una politica conservatrice (è sbagliata la qualifica di un
partito come “conservatore”, sarebbe più adeguata,in relazione a
“progressista” quella di
“restauratore”) ed immobilista.
Tutto il resto, che non si può ignorare con la politica
dello struzzo, deve, per svilupparsi, usare altre strade e mezzi diversi da quello istituzionale.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Cioè di persone facilmente ed emotivamente condizionabili,
che non possiedono una scala di valori e un sistema di pensiero razionale e meditato. ( non si vuole
significare completamente sbagliato,
altrimenti sarebbero imbecilli, ma questi si trovano in una minoranza
come visto prima).
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IL SISTEMA MONOCRATICO
L’altro tipo fondamentale è quella organizzazione
politica che prevede il potere decisionale affidato ad una unica persona (od a un ristretto gruppo).
Il senso comune attuale ha attribuito a questo tipo di organizzazione un connotato
fortemente negativo. Il che se a volte è vero non lo è però
sempre. La risposta a questo dipende da più
fattori.
Il primo è come il monocrate è arrivato
al potere. Se è per dinastia, come in un regno, esso può essere stupido o intelligente, capace o
incapace come qualsiasi altro uomo. Potremmo quindi più facilmente immaginarci una
mediocrità.
Se invece è arrivato al potere o è riuscito a
mantenere il potere dopo molte lotte, allora è molto probabile che sia un uomo di grosse
capacità e comunque di doti non comuni.
Se questo, nei confronti dei sottomessi, non sempre significa buon
governo è pur vero che in molti paesi il massimo momento di splendore ha coinciso con una
mano di ferro nella condotta del potere. Basti pensare al periodo della regina
Elisabetta I in Inghilterra.
La natura utilizza questo mezzo per il mantenimento della specie. Il
cervo più forte diventa il capo del branco.
Per quanto riguarda l’uomo non è della forza
fisica che c’è bisogno, ma piuttosto della capacità di capire i problemi e di inventare soluzioni
efficaci. Se la vincita nella lotta per il potere fosse determinata solo dalla intelligenza allora una
“intelligentocrazia” * sarebbe il sistema politico più auspicabile. Nella
realtà le possibilità di conquista del potere e l’importanza di questa conquista dipendono da molti
fattori, molti dei quali esterni ed assolutamente incontrollabili, altri invece dipendenti da
doti personali.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Come auspicava Platone.
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LE ECCEZIONI
Queste considerazioni sono pur egualmente valide in situazioni che
sembrerebbero eccezionali.
Vi sono situazioni in realtà che escono dalla media degli
eventi. Il che non è contraddittorio con i ragionamenti sul piano statistico già
visti. Sappiamo che i casi straordinari si collocano ad uno dei due estremi della nostra
gaussiana.
Ad esempio durante le rivoluzioni, all’interno di esse si
creano “partiti” o gruppi formati da persone che sostengono una strategia od un’altra. Il fatto
che il metodo di determinazione delle scelte non sia quello di tipo parlamentare non
cambia nulla rispetto alla disposizione statistica tra maggioranza e minoranza.
Poiché sono situazioni eccezionali, tali sono anche le forme
di potere che esse esprimono, come il potere acefalo verificatosi nella guerra civile
spagnola nelle zone sotto controllo anarchico. Ma poiché situazioni come come
queste richiedono e sono generate da concentrazioni casuali di alto livello di intelligenza,
esse sono destinate a brevi tempi di esistenza, come appunto la loro storia ha dimostrato.
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IL METODO “BANG BANG”
Poiché la comprensione dei fenomeni sociali, in particolare,
richiede intelligenza per trovare metodi di soluzione ai problemi che essi pongono,
l’efficacia di essi sarà in funzione del livello di intelligenza di chi ha il potere di imporre le
soluzioni:
Per esemplificare il ragionamento facciamo l’ipotesi di un
evento X che richieda un livello di intelligenza con indice arbitrario 100.
Quindi possiamo avere verificati sostanzialmente tre casi:
a) Il potere (inteso come struttura adibita a prendere le decisioni)
è di intelligenza = 100.
In questo caso esso é in grado di rendersi conto della
situazione in modo completo e
di prendere una decisione, anche se drastica, perfettamente adeguata al
problema ed
in tempo utile.
b) potere di intelligenza maggiore di 100: esso è in grado
di valutare il problema con un certo anticipo e di prendere decisione anticipate che non solo
risolvano completamente
il problema, ma i cui effetti collaterali siano ridotti al minimo,
quindi un cambiamento dolce e senza troppe scosse.
c) potere con intelligenza inferiore a 100: questo significa la non
comprensione del problema e la mancanza di previsione dei suoi effetti. Il problema
cresce oltre il sostenibile, mentre gli interventi di soluzione sono insufficienti,
fino a che è inevitabile una soluzione drastica ed improvvisa che ribalti la situazione, con
effetti collaterali indesiderati e un prezzo di sofferenze insopportabile.
Sofferenze che genereranno nuovi problemi a cui dare poi una soluzione
che sarà opposta e drastica come la precedente.
Questo dà l’idea di una automobile che resti in
strada soltanto sbattendo e rimbalzando alternativamente sul guard-rail di destra e su quello di sinistra (da
qui il bang
bang).
La storia ci dà vari esempi macroscopici in questo senso.
Basti a pensare alla rivoluzione russa, con il periodo “comunista” che
non ha risolto completamente i problemi della società di allora, il “crollo del
muro di Berlino”e la conseguente “Capitalistizzazione” della società
russa che è già visibile oggi ( e preventivabile
già dal momento della caduta del potere gorbacioviano) non è in
grado di risolvere i problemi attuali e le conseguenze lasciate da quella. È logico quindi
aspettarsi tra un tempo più o meno lungo una “rivoluzione”simile (non uguale) a
quella “di ottobre”.
Questo fenomeno è ben conosciuto da chi si occupa di
controlli automatici. La capacità di comprensione del fenomeno è
equivalente alla velocità di risposta del sistema, e l’efficacia della soluzione è
equivalente al guadagno a spira aperta.
Ancora una volta è bene porre in evidenza che questo non
significa necessariamente che possiamo intervenire sulla società affidandoci alle
formule matematiche delle
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scienze applicate, ma certamente l’analisi qualitativa di
queste leggi ci può dare utili suggerimenti per le soluzioni nel campo sociale.
Anche qui possiamo utilizzare il concetto di stabilità ad
anello chiuso, cioè l’intero sistema nel suo funzionamento compreso il sistema di potere.
È importante notare che il sistema stabile, non è
un sistema statico (che tende a rimanere nello stesso stato, cioè inerte) ma è
quello che si adegua senza scosse e quindi senza oscillazioni inutili ed esagerate da una parte e
dall’altra che richiedono quantità di energia inutilizzabili ed inutili,
cioè è quello che ha il massimo rendimento possibile.
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GUERRA E PACE
Ogni volta che deve essere presa una decisione all’interno di
un gruppo di persone si formano delle formazioni contrapposte: un favorevole ed una contraria (
e possibilmente anche una di “nonso”).
Da quanto affermato prima dovremmo dire che la maggior parte di ragione
(non esiste nessuno che sia assolutamente giusto e nessuno che abbia assolutamente
torto) stia nella fazione più piccola.
Normalmente è cosi`. Qualche volta è il
contrario. È difficile a volte stabilire il confine tra il massimo genio e un’assoluta imbecillità.
Solo un genio ancora più grande può capirlo.
Ci sono però alcuni criteri empirici che possono aiutarci a
capire da che parte stiamo:
1) se la decisione richiede tempi più lunghi e maggiore
lavoro, probabilmente è più giusta.
2) se semplifica una decisione precedente togliendo parti inutili al
risultato, sicuramente è la decisione migliore
3) Se è totalmente nuova e contro le abitudini e gli usi
consolidati probabilmente è migliore.
4) se richiede la minore sofferenza da parte degli altri sicuramente
è la scelta migliore.
Queste affermazioni non sono sempre ed assolutamente vere, o meglio
sono vere se e solo se sono state esaminate tutte le ipotesi possibili. Anzi la non
completa valutazione può portare a scelte errate pur apparentemente giuste.
Certamente uno dei problemi che coinvolge il maggior numero di persone
e il massimo di sofferenza è la guerra.
Molto spesso anche chi per principio è contro di essa,
finisce poi per accettarla come il male minore.
Prima ragione di diffidare di chi propone * questa come soluzione:
è la soluzione più facile proposta sempre da qualcuno da alcune centinaia di migliaia di
anni a questa parte. Il fatto che la si debba utilizzare ancora, dimostra la sua
assoluta inefficacia.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Come già Archiloco (V sec. A.C) ha dimostrato qualche migliaio di anni
fa, chi la propone non la fa. Già questo dovrebbe creare qualche dubbio sulla sua opportunità. Se un
uomo di affari ne vede uno buono non manda altri a farlo. In questo caso dobbiamo anche pensare che qui
non vale il principio della natura per il capo del branco, dopo la guerra rimangono i
più vigliacchi.
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Quando ci viene imposto di decidere se affrontare una guerra ormai
inevitabile, ci stanno ingannando, perché vuol dire che la decisione
è stata già presa prima da qualcun altro a nostra totale insaputa.
Tutte le azioni umane, poiché sono per definizioni delle
interazioni con l’ambiente, costituiscono delle reazioni agli stimoli degli altri. Spesso le
situazioni di conflitto in cui si trova qualcuno nei nostri confronti è un vicolo cieco in
cui noi stessi l’abbiamo spinto.
A volte quindi, queste scelte non esistono in realtà, sono
soltanto un avallo all’operato di chi questa necessità ha provocato con le sue decisioni
precedenti.
Certamente un soluzione pacifica richiede tempi lunghi, notevoli
energie, tolleranza e sincerità, questa è la ragione del primo
enunciato.
Richiede anche di liberarsi dai preconcetti così facili e a
portata di mano, solo per esempio: Napoleone non era un eroe, era un assassino che con la
complicità di tanti altri ha portato lutti e distruzioni a popolazioni che ne avrebbero
fatto sicuramente a meno. Ma gli storici dicono che egli ha portato le idee rivoluzionarie
negli altri paesi.
Questo è falso: l’accoglienza osannante di una
parte degli intellettuali d’allora dimostra che queste idee erano già diffuse. Se mai questi pensavano
che il Napoleone, spazzando via i governi esistenti desse realtà a queste idee
* e la storia immediatamente successiva ha evidenziato questa stupidità. Quindi Napoleone
dovrebbe essere considerato solo per quello che è stato: un genocida.
Ma per far questo bisogna liberarsi dai preconcetti della “
teologia della gloria” per la quale un vero uomo è quello capace di uccidere il maggior
numero di persone.
Che questo non sia proprio vero è dimostrato dal fatto che
ad uccidere sono in grado anche esseri microscopici come il botulino, che produce il veleno
più potente oggi sulla terra. Ma non mi sembra che il botulino possa essere annoverato
tra gli uomini veri.
C’é un solo essere che è in grado di
curare gli altri, capire ciò che lo circonda, inventare strumenti e avere manifestazioni d’arte: l’uomo. Ne
discende che solo se uno è capace di fare questo può essere considerato un vero uomo, se no
potrebbe essere anche solamente un botulino.
Finche questi pregiudizi saranno operanti, la guerra sarà il
tentativo di soluzione più a portata di mano e tante persone continueranno a morire per niente.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Bisogna notare che queste idee erano diffuse solo tra gli
intellettuali del tempo, quindi tra la minoranza più intelligente che intravvedeva le nuove
possibilità derivanti dall’unificazione di un mercato allargato a più stati . Il resto della
società non era certamente maturo, anche perché
in alcuni paesi la popolazione godeva di un benessere diffuso, grazie
proprio a quel governo o a quella dominazione, basti pensare al milanese. Ed in effetti la restaurazione
del 1815 avviene senza grandi opposizioni. Ci vogliono almeno altri 50 anni perché si
sviluppi un movimento sufficientemente allargato che possa fornire forza sufficiente per un conflitto
vittorioso.
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Perché dove la guerra sembra portare una soluzione al
problema, ne crea altri nuovi.
Per giustificare questo oggi ci si inventa le missioni umanitarie, come
ieri i grandi ideali.
Una soluzione pacifica non ha bisogno di missioni umanitarie, lo
è già di per sè. Per lo meno, la guerra comporta uno spreco inutile di energia, se oltre ad
essa si deve usare altre risorse per la missione umanitaria.
In realtà, c’è solo un indicatore che
in questo caso è anche un mezzo per risolvere un conflitto: la solidarietà. Minore è il livello di
solidarietà nei rapporti sia umani che tra nazioni, maggiore è la probabilità di un
conflitto.
Questo ci permette subito e ancor molto prima che sia necessaria una
scelta quasi obbligata di sapere da quale parte stanno l’intelligenza e la
ragione.
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L’ECONOMIA: UNA PREMESSA
Non si vuole qui dare lezioni di economia, scienza ormai consolidata *
e su cui esistono migliaia di testi, ma mettere in risalto solo alcuni meccanismi
fondamentali nella trasformazione sociale, troppo spesso sottovalutati e taciuti per
evidenti ragioni.
Le stesse per cui se parlate di “plusvalore” sarete
guardati in modo strano e sarete considerato sicuramente “marxista” o peggio
“comunista”, ma se parlate di “valore aggiunto” vi considereranno un esperto di economia.
Solo quindi alcuni aspetti saranno esaminati, quelli che determinano
fatti sociali e nell’ottica di un bilancio energetico di risorse umane come
impostato al capitolo ‘Un bilancio’, e certamente non in termini puramente finanziari.
Il filo conduttore di questa ricerca è ‘Come
vivere meglio?’ e non ‘Come essere più ricchi?`, le due cose non sono correlate, a meno di estendere il
concetto di ricchezza anche anche a valori extra finanziari come ‘gioia,
‘serenità’ ‘salute ecc., ma
questo è proprio una delle conclusioni di questa ricerca.
Per chiarire questo concetto pensiamo alle popolazioni
“primitive” nei vari continenti, che nonostante il contatto con la
“civiltà”, l’hanno rifiutata.
È errato definire povere certe popolazione della Amazzonia o
dell’Australia** . Esse hanno tutto ciò che desiderano. Povere sono diventate invece
altre popolazioni, che non desiderano più ciò che hanno e qualcuno le ha
convinte che devono possedere tutt’altro per poter diventare “ricche”.
Questo è un concetto fondamentale.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Naturalmente questa affermazione vale solo nell’ambito
della teoria di ogni singolo autore. Non è lecito fare confronti tra le teorie di economisti diversi. Al massimo
solo per confutarle a favore delle proprie.
** Almeno finchè qualcuno non gli ruba la loro ricchezza distruggendo
il loro ambiente, come sta avvenendo in Amazzonia.
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ANCORA UN BILANCIO
Prendiamo un valore fittizio: come negli esempi per i bambini prendiamo
10 noccioline.
E prendiamo 10 persone.
Diamo una nocciolina a testa. In questo momento nessuna delle persone
è particolarmente ricca. Il capitale totale è di 10 noccioline. Ora scegliamo
1 persona, ed imponiamo a tutte le altre di dare a questa la loro nocciolina. Alla
fine avremo sempre con un capitale totale di 10 noccioline una persona ricchissima (di
noccioline si intende) e le altre nullatenenti.
L’esempio è di una banalità
sconcertante, ma come tutte le cose semplici, non è altrettanto evidente.
Quello che viene evidenziato in questo caso è che la legge
di conservazione dell’energia è sempre valida. Una persona può arricchire solo
poiché ci sono persone che contemporaneamente impoveriscono.
Questo fatto deve essere tenuto presente sempre, e non solo sul piano
finanziario: di fronte ad un esborso di danaro io ottengo in cambio qualcosa. Tanto
spendo e tanto
ottengo.
Ciò solo in teoria. Non sempre però è
così: la merce può essere avariata ed io allora subisco
una perdita di fronte ad un arricchimento del venditore, oppure
pago una tassa per un servizio che non funziona. Arricchisco qualcuno e
non ho un
equivalente valore di ritorno.
Oppure ottengo una merce sopravvalutata. Una merce di cui un atto
speculativo ha aumentato il valore di mercato. Di nuovo subisco una perdita,
perché pago di più per una merce che vale meno.
Oppure ottengo una merce che provoca un danno da rifondere. Ad esempio
una automobile, che assieme alle altre causa inquinamento, incidenti di
traffico, perdita di tempo nelle code ecc., per cui oltre a quello che ho pagato per averla
devo aggiungere il costo pagato allo Stato della aliquota destinata a risolvere il
problema del traffico.
Quando da una parte c’è un guadagno molto elevato
e dall’altra un costo (finanziario) lieve, sicuramente esiste un costo extrafinanziario (quasi sempre
nascosto o sottovalutato) fortissimo. Molto spesso quindi questo costo lo paga la
comunità intera.
Una delle conclusioni (altre verranno evidenziate in seguito)
è che non è possibile rendere tutti ricchi, e il massimo ottenibile è che non
tutti siano poveri. Non è possibile trovare una linea politica quindi che vada bene a tutti,
poiché l’unico modo per cui uno arricchisca è di impoverire gli altri e
l’unico modo perché quasi tutti arricchiscano è di impoverire i rimanenti . Le perdite non sono solo in
denaro, ma anche in libertà, in tempo, in tranquillità ecc.
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IL MERCATO
Con mercato possiamo definire l’insieme di regole, azioni,
che governano lo scambio di oggetti, beni servizi ecc., cioè l’ambito della
attività economica.
Uno dei preconcetti riguardo al mercato è che vince il
migliore, cioè la ditta che offre il bene o il servizio migliore alla fine conquista la fetta maggiore
del giro di affari di quel mercato. L’esperienza dimostra la totale
falsità dell’assunto.
Una serie di riflessioni sui concetti già esaminati, ci
può chiarirne il perché.
Vende di più * chi, naturalmente, vende al maggior numero di
persone, cioè alla maggioranza. Cioè, come prevedibile, il maggior numero di
clienti sono mediocri. Un bene che corrisponda alle esigenze medie del cliente è
sufficiente a conquistare il mercato, uno che presenti caratteristiche migliori, costerà
di più, senza maggiore attrattive verso il cliente medio , il quale non sarà
comunque in grado di valutare ed utilizzare queste caratteristiche.
Una maggiore vendita determina un minore costi di produzione (fattore
di scala), come gli economisti ben sanno. Un minore costo di produzione permette
di abbassare il costo di vendita, e quindi di allargare i potenziali clienti a
quelli di minor capacità economica. E quindi aumentare le vendite, in un “circolo
virtuoso”(?).
Il mercato è quindi interessato ad allargare l numero di
clienti mediocri e restringere quelli straordinari (migliori e peggiori).
Vince anche chi e soprattutto il produttore che riesce a rendere facile
e senza necessità di studio preliminare le operazioni di uso.
Lo vecchio slogan della Kodak “Voi premete il pulsante, al
resto ci pensiamo noi” può essere ritenuto valido per qualsiasi prodotto industriale.
Il che sarebbe auspicabile se non avesse una conseguenza. Il
semplificare e rendere accessibili a tutti dando l’illusione che per fare una bella
foto basta avere una macchina fotografica superautomatica, che fa tutto da sola, senza preoccuparsi
di conoscere cosa significano contrasto, luminosità , toni alti e bassi,
composizione dell’immagine ecc., immette nel quotidiano una alluvione di immagini mediocri che
finiscono per rendere più difficile riconoscere e valorizzare le foto
eccellenti. Una miriade di spunti banalizzati e dispersi in una miriade di opere mediocri finiscono per
svalutare e anche
rendere scontata, un’opera di un grande maestro in cui quegli
stessi spunti siano elementi coerenti di una sinfonia unitaria.
Questa è una delle ragioni per cui le tecniche artistiche
tradizionali, riescono ora sempre più difficilmente ad esprimere opere di alto valore.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Per semplificare bisogna porsi alcune limitazioni, considerando solo
un bene destinato ad un
mercato completamente indiscriminato
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La produzione aumenta ma il livello qualitativo diminuisce.
Lo studio una volta necessario ad ottenere un qualche risultato,
garantiva che solo i più dotati e con la maggiore spinta interiore fossero
disposti a sopportare i sacrifici che
questi studi imponevano.
Questa tendenza è a sua volta aumentata dal mercato che
usufruisce, ed ora fagocita, della produzione artistica, volendo allargarla il più
possibile ad un pubblico incolto, che rimanga tale il più possibile per potergli vendere
prodotti sempre più mediocri.
Questo fenomeno, su un equivoco di fondo anche da parte degli autori
che l’hanno inglobato in una concezione erratamente
“romantica”
dell’arte *, è noto da lungo tempo. L’Autore ( con
la maiuscola) deve quindi trovare
qualcosa di diverso, che dimostri la sua superiorità rispetto
alla
mediocrità, e quindi deve rifugiarsi in astruserie, che lo
tengono poi lontano da quello stesso mercato che essi vorrebbero
in realtà li ammirasse, ma che , proprio a causa
dell’astruseria
dell’autore, continua per la sua strada senza diventare
così meno
“incolto”.
Accecati da questa illusione, la maggior parte degli autori non vedono
l’unica soluzione a loro disposizione (se hanno realmente talento), cioè di
accettare di essere capiti ed ammirati, come minoranza, solamente da una minoranza del pubblico.
E questo non solo vale nel settore artistico, ma in qualsiasi
attività professionale. Il risultato di un gran numero di dilettanti e di gente che “se
ne intendeӏ un cattivo utilizzo e spreco di risorse, che un professionista con una solida
formazione potrebbe evitare. Ma chi se ne accorge? Un professionista certo, ma questo fa
parte solo di una piccola minoranza.
Il mercato quindi mediocrizza il prodotto e per questo deve
perciò mediocrizzare anche il cliente. Il prodotto scadente deve scomparire
perché sarebbe destinato ad una minoranza e quindi troppo costoso rispetto alle caratteristiche,
quello ad alto livello diventa sempre più costoso ** per ragioni di scala. Ma alla
mediocrizzazione di questo tipo cioè verticale, si aggiunge anche quella orizzontale:
il numero delle alternative reali devono diminuire il più possibile: ecco una delle
ragioni delle concentrazioni:
produrre sul mercato almeno lo stesso quantitativo, ma col minor numero
di tipi
Note a pié pagina __________________________________________________
* Il genio incompreso. Così molti autori hanno creduto che
per essere genii era sufficiente fare opere incomprensibili. Il “Don Giovanni” di Mozart
è un capolavoro assoluto, nonostante sia omprensibilissimo, in particolare agli italiani. ** nota nella nota:
il genio è incomprensibile per definizione: se genio è colui che comprende cose che gli
altri non possono, se questi potessero
capirlo allora capirebbero anche le stesse cose, il che è
una contraddizione di quanto affermato prima.. Vedi anche il capitolo: Geni e genii.
** Certo c’è e ci sarà sempre chi
compra il Patek Philippe o per una sera soltanto indossa un abito di
Valentino, ma questi, (come colui che per sapere l’ora guarda
il sole o si veste con l’abito di Adamo)
sono gli estremi della gaussiana, e però costituiscono un
piccolissimo mercato, di prestigio ma modesto in termini di fatturato globale, ad alto rendimento solo se le
ditte coinvolte sono pochissime.
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diversi * dello stesso oggetto. Già questo è un
notevole risparmio sui costi, e poiché il volume di affari rimane lo stesso il guadagno è maggiore.
Ecco la ragione ( e la necessità) della moda. Essa deve
mediocrizzare il più possibile le aspettative e i desideri delle persone. La mediocrizzazione (una volta
chiamata massificazione) è un meccanismo strutturale (non di una
volontà del capitale, come pure si credeva una volta) di un mercato puramente economico.
Quello che bisogna porre qui in evidenza è proprio che
questa è una regola, una legge di mercato , non una strategia.
Del resto questa è in assoluto accordo con la regola
dell’aumento dell’entropia ** . La necessità di una produzione sempre maggiore, tende a
sostituire a grandi opere di qualità elevata, più difficili da realizzare
quindi di conseguenza poche, moltissime altre di qualità sempre più bassa e meno
differenziate l’una dall’altra, quindi con un maggiore valore di entropia.
Si sottolinea che in questo caso, differentemente dalla fisica, questa
non è una legge ancora dimostrata come assolutamente vera e inevitabile. In teoria si
potrebbe ipotizzare che nel caso gli uomini diventassero più
intelligenti, e facessero una scelta di una scala di valori diversa, che non prevedesse moda e
massificazione, potrebbe essere possibile una produzione di qualità elevata. Ma anche
ammesso questo, comunque la produzione di ulteriori opere ridurrebbe comunque livello
di originalità di una opera, e quindi aumenterebbe il valore di entropia. ***
Note a pié pagina __________________________________________________
* Realmente diversi, non una etichetta o una scatola diversa come ad
es. tra Fiat e Lancia.
** Vedi il capitolo L’entropia
*** Per esemplificare questo discorso, possiamo considerare che
l’uso di un ritmo (valzer, rap, be-bop, ecc.) è una riduzione di originalità
(poiché usato da molti altri autori) rispetto ad una aritmia
completa, e per quanto si possa a prima vista dubitarne i ritmi
possibili sono un numero finito e calcolabile.
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IL MERCATO GLOBALE
Non entreremo sull’argomento, ora così di moda,
del “mercato globale”.
Esso è un falso problema, il mercato è sempre
stato globale.
Non era forse un mercato globale quello delle spezie che dalla Cina
portava i prodotti pregiati sulle tavole patrizie romane?
O non era conseguenza di un mercato globale quella “Guerra
dell’oppio” combattuta per conto della finanziaria “Compagnia delle Indie”
dai governi inglesi francesi e tedeschi su una Cina tanto ricca da non necessitare di commerciare con
l’occidente, col fine di ridurla a povera e dipendente * affinchè i suoi
azionisti potessero arricchirsi ulteriormente?
Quello che è cambiato è solo la percentuale di
popolazione interessata al mercato finanziario, ed i loro effetti che sono amplificati e distribuiti su
più realtà sociali. Ma qui per principio non ragioniamo su singole realtà
nazionali, ma l’intera società umana pur tenendo conto che esistono innumerevoli differenziazioni.
Quanto detto prima e dopo vale quindi per qualsiasi mercato, globale o
no.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Cfr. Epstein-Breve storia della Cina moderna.
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UN MERCATO ALTERNATIVO?
Una alternativa in realtà non esiste. O almeno non esiste se
i termini di un mercato vengono visti solo in termini puramente economici.
Non solo: ma una delle domandi più difficili, a cui le
direzioni delle grandi compagnie sono convinte di poter dare risposta, è: cosa vuole il
mercato ?
In altri termini, il processo di mediocrizzazione è voluto
da chi lo subisce?
Ad esempio: il ragazzino che porta le scarpe firmate di moda lo fa
perché è convinto così di essere un privilegiato oppure per non sentirsi fuori
dal gruppo?
Nel primo caso egli potrebbe venire convinto che il suo atteggiamento
è errato, dal momento che è una contraddizione il fatto di essere un
privilegiato come gli fa credere
la pubblicità e portare un qualcosa utilizzato dalla
maggioranza, nel secondo è la sua insicurezza che lo porta a chiedere di essere uguale agli altri e quasi
pretendere che
gli altri siano uguali a lui.
Questo è molto spesso la ragione per cui nei piccoli paesi,
il modello di vita sia lo stesso per tutti, e chiunque non lo segua sia emarginato o perlomeno guardato
con sospetto.
La paura di non essere in grado di trovare in libertà la
propria strada è così grande da non tollerare che qualche altro possa in vece riuscire a farlo e
rendere così evidente questa incapacità. A volte la libertà,
può fare paura o anche panico.
Ma poiché, oggi i mezzi di comunicazione di massa hanno
allargato i confini del paese, questo modello si è uniformato e mediocrizzato prima a tutto
lo stato e quindi a tutto il mondo.
Ecco perché la Cocacola e McDonald si trovano ora in
qualsiasi parte della terra.
Un mercato realmente alternativo, sarebbe quello che contenesse anche
valori extra-finanziari, come ad esempio la solidarietà o la bellezza e
ricchezza della varietà.
Ma un mercato di questo tipo dovrebbe poggiarsi su una cultura della
libertà e della intelligenza, che è proprio l’opposto di quella
attuale, e dove vengano esaltate e considerate positive le differenze, non le uguaglianze.
Un mercato alternativo dovrebbe anche essere paritetico per tutti:
dovrebbe cioè non costituire un guadagno per alcuni ed un impoverimento per altri.
Ma è possibile?
Le grandi multinazionali e gli speculatori dicono di no. Esso sarebbe
una entropia, in cui non potrebbe più essere possibile uno scambio: la
mancanza di un capitale da spendere non generebbe una offerta. Se tutti hanno tutto, nessuno ha
più bisogno di niente.
Pur volendo ammettere ad ogni costo che questa sarebbe una iattura,
nella realtà questo ragionamento è dal punto di vista logico errato.
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Media non significa uguaglianza.
Una entropia in termini economici non è necessariamente una
entropia del desiderio.
Cioè in termini più comprensibili, se tutti hanno
tutto ciò di cui necessitano, non necessariamente hanno tutto quello che desiderano.
Un esempio: che cosa ci facevano i fenici nella mitica Thule, visto che
essi avevano tutto o potevano averlo più vicino. O cosa spingeva i
mercanti greci ad arrivare in terra etrusca a vendere suppellettili che pure gli etruschi producevano? O
come mai i rapporti commerciali tra Firenze e la Fiandra erano così
stretti pur essendo in quel momento le zone più ricche dell’occidente?
Soprattutto cosa ricavavano in cambio dei loro commerci: denaro? no, le
monete locali non erano quotate nelle borse dei paesi di origine. Oro? non risulta
che né l’Etruria ne
le Fiandre producessero oro. È più probabile che
ottenessero altra merce in cambio più o meno dello stesso valore. Poteva essere quindi
considerato un mercato paritetico.
Eppure lo scambio esisteva perché esistevano produzioni
diverse, che si integravano tra loro.
Una società che avesse raggiunto al suo interno un
equilibrio economico perfetto, senza poveri e ricchi, potrebbe mantenere un mercato di scambio vivace
e naturale basato sulla diversità.
Sempreché fosse assolutamente necessario avere un mercato.
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LA SOLIDARIETÀ
Proviamo a darne una definizione: La solidarietà
è la volontà di dare un aiuto ad un altro uomo, al di sopra e nonostante interessi materiali contrastanti.
Classificato tra i sentimenti, in realtà dove esiste essa si
qualifica come una forza dirompente.
Essa nasce dalla consapevolezza all’interno di un gruppo che
esista una somiglianza tra i membri ed un interesse comune più importante di quello
individuale.
Può essere limitata ad alcuni aspetti specifici (sport, ambiente di lavoro ecc.) o
a tutta l’umanità o a tutto il creato (buddismo).
Può essere a senso unico o
reciproca.
Essa nasce dalla intelligenza di questo legame e comunione di intenti,
all’intelligenza va rapportata perché essa stessa è una forma di
intelligenza: quello di capire che l’interesse del gruppo può coincidere con od
estendere quello individuale.
Qualcuno tanti anni fa affermava * : “la libertà
degli altri non limita la mia, anzi la accresce”. Questa è una affermazione di
solidarietà, che implica il riconoscimento di un interesse generale ed una visione vasta della realtà.
È una proposizione in positivo di un atteggiamento
fondamentale, quello di ritenere che la libertà (nel senso più vasto che comprenda
la libertà di vivere senza fame, senza ignoranza, senza preconcetti ) porti ad una vita di tutti senza
alienazioni, delinquenza, sofferenza ingiustizia.
Chi è felice non uccide. Chi è felice non riesce
a tenere la felicità solo per se.
Chi accumula frustrazione, dolore, noia prima o poi la deve sfogare su
qualcun altro, generando altro dolore.
L’uomo è un animale sociale. Bene, questa
espressione significa molto di più di quanto siamo abituati a pensare.
La società umana non è formata da un gruppo di
individui, ma da un insieme di relazioni.
Dare il giusto valore a questa affermazione, forse per qualcuno troppo
ovvia, è di importanza fondamentale: non è il fatto di una contemporanea
e casuale presenza , ma il fatto che tra queste persone si verificano comunque azioni ed
interazioni inevitabili che crea un legame chiamato società
Banalizziamo il ragionamento, per semplificare: ammettiamo per ipotesi
che una persona sia stressata, e gli venga fatto qualcosa che sente come
sgarbo, ad esempio un
Note a pié pagina __________________________________________________
* Antonio Pesce, un amico e compagno di lotte politiche degli anni
inizio ‘70, suicidatosi a 20 anni perché non era riuscito a trovare in questo mondo la
libertà e la solidarietà che lo convincesse a
desiderare di restare con noi.
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sorpasso che lo metta in pericolo. Egli si trova con un
sovrappiù di malumore che poi sfogherà con un ulteriore sgarbo ad un altro, se certe
condizioni ( soprattutto se si sentirà in potere di farlo) si verificheranno.
E continuerà la catena coinvolgendo ulteriori persone. Nella
peggiore delle ipotesi, se questa persona è in uno stato limite prepatologico, esso
potrebbe perdere il controllo di se stesso ed uccidere un’altra persona.
Questo sarebbe un caso di sinergia negativa. Ad una causa iniziale
minima, nelle interazioni tra individui si ha uno stato finale ben oltre al valore
iniziale.
Ma possiamo anche pensare in positivo, dove il cedere il passo ad un
altra persona, genera in questa un senso di maggior benessere che riverserà
su di un altro, e così via, in una interazione sinergetica positiva.
Nella realtà, si verificano continuamente interazione dei
due segni, in modo che il valore statistico medio rimane normalmente abbastanza neutro.
Se facciamo riferimento alla storia, potremmo intendere anche il
nazismo come una sinergia negativa che ha finito per travolgere tutto un popolo. In quel
caso la media si è spostata verso il negativo e l’effetto
sinergico ha finito per amplificare ancor più il processo fino a generare forme di distruzione estreme per gli altri che
erano prossimi.
È anche interessante notare che questo effetto di
interazione qui descritto può essere assimilato all’effetto di controreazione positiva (positive
feedback, positiva perché nello stesso senso dello stimolo e tendente ad amplificare il suo effetto)
ben noto nel campo dell’elettronica.
Tenendo presente che lo strato di stress è determinato da
molti fattori: sensibilità individuale agli stimoli, situazioni di salute, situazione di poca
fortuna, pressione morale, cultura e strumenti per affrontare la vita, situazione
economica ecc. che sono quasi sempre almeno parzialmente concomitanti, non sempre è
eliminabile, ma rimuovere quelle cause che dipendono dalla società
può aiutare a innalzare il livello
medio ed innescare una sinergia positiva.
Proprio questa sinergia può essere usata come indicatore
della correttezza dell’intervento sul sociale.
Tutte le volte che un provvedimento tenderà a comprimere il
livello di libertà individuale, tenderemo comunque ad aumentare lo stato di stress, e
quindi in questo senso esso sarà alla fine fallimentare.
È questa la maggiore sfida all’intelligenza umana:
difendersi dai pericoli, fisici, individuali o sociali, senza diminuire il livello di libertà
degli/di altri. Cioè dare una realizzazione concreta alla solidarietà.
Una cosa è assolutamente certa: il divieto è
l’unica soluzione che l’imbecille riesce a proporre.
Pagina 35
Ricordiamoci che la sinergia positiva è la situazione
ottimale di un processo, quella che richiede la minor energia applicata perché esso si
compia, e tenderà a rimanere più facilmente in questo stato.
Viceversa un effetto sinergico negativo richiederà, lo
stesso poca energia per il suo verificarsi, ma il massimo sforzo per cambiare la situazione finale in
positiva.
Azione e reazione
Il principio di Newton afferma: ad ogni azione corrisponde una azione
uguale e contraria.
Non è possibile oggi affermare che anche per i rapporti
umani essa sia esatta, ma certamente anche in questi esiste sempre una interazione tra gli
avvenimenti e la reazione umana, a qualsiasi livello sia singola che collettiva. In
altre parole, è possibile produrre azioni su campioni e popolazioni umane, che generino da parte
di queste, reazioni logiche e prevedibili.
Il terrorismo si basa su questo principio. Esso vuole che il senso di
paura di fronte ad un fatto eclatante si trasformi in una presssione della opinione
pubblica per ottenere una riduzione dei propri diritti in cambio di una maggiore apparente
sicurezza .
A conferma basterebbe verificare quante persone sono morte per
terrorismo in confronto alla altre cause di maggiore frequenza: incidenti sul lavoro,
incidenti stradali, cancro, AIDS, assaassinii tra familiari ecc
Eppure la richiesta sociale per la prevenzione di queste è
minima in confronto all’effetto eclatante di unatto di terrorismo.
Ben lo sapevano gli autori dell’eccidio alle torri gemelle,
quando a tavolino hanno deciso la morte di 4000 persone, per poter imporre regole
più stretta al controllo sociale (Patriot Act) ed ottenere l’assenso ad un genocidio
mascherando i puri interessi economici verso il petrolio.
I documenti incontestabili esistono e sono reperibili in rete.
Ma la media preferisce continuare a credere che sia stao un cattivo di
nome BinLadin, sfuggito alle truppe occidentali dispiegate a catturarlo,scappando in
moto con sidecar, nel quale doveva avere messo il rene artificiale da campo,
poichè essendo malato ai reni non si sa come avrebbe potuto vivere in mezzo alle montagne in
quelle condizioni senza il rene artificiale.
Certamente è più facile e rassicurante accettare
delle spiegazioni, per quanto idiote e risibili, da chi abbiamo delegato a sapere e guidarci,
piuttostochè analizare le cose e tentare di giungere con le nostre forze il più possibile
vicino alla verità.
E’ importante capire questo per capire alcuni meccanismi
nella storia e ritrovarli poi anche nei fatti attuali. I tedeschi in buona fede ritenevano che gli
ebrei fossero effettivamente un problema, perchè credevano che colui al
quale avevano dato fiducia, Adolf Hitler, dicesse la verità. Come poteva essere
altrimenti. Questo ha portato allo sterminio di rom, handicappati, russi, ebrei ecc.
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L’uso di questi comportamenti, non a caso viene utilizzato
per ottenere scopi che altrimenti non sarebbero accettati.
“Divide et impera”.
La paura è una delle forze sociali più forti,
l’unica che può spezzare il legame naturale della solidarietà.
In situazioni normali, dove non vi siano condizioni di stress e di
paura, la solidarietà (possiamo chiamarla anche simpatia, che significa saper sentire o
soffrire assieme) tende ad unire i soggetti vicini. Quando è consolidata e
istituzionalizzata (e spesso in senso negativo) assume anche il nome di campanilismo, patriottismo,
solidarietà di gruppo, omertà.
Ma in condizioni realmente naturali è compartecipazione,
cortesia, altruismo.
E’ e tende ad essere un legame molto forte, attivo e
positivo. come dimostrato fortemente sinergetico.
Per riuscire quindi a dominare un gruppo e ad imporgli soluzioni non
normalmente accettabili è necessario spezzarne la
solidarietà, iniettare la paura dell’altro assieme
al sospetto il mezzo più efficace per ottenere
ciò. AlQaida, Bin Ladin ora, Fidel Castro, il Popolo Russo, il Comunismo una volta (ma qualcuno crede ancora che
possa essere uno spauracchio ancora oggi).
Mentre questo principio lo vediamo narrato e dimostrato dappertutto
(ricordate ‘10 piccoli indiani’ di Agatha Christie?) e fin dalla
antichità come ilproverbio latino ricorda, pochissime persone lo usano per analizzare e capire la
realtà sociale.
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LE ISTITUZIONI
Le istituzioni sono delle strutture create dall’uomo per
facilitare ed organizzare specifiche attività (insegnamento, coordinamento,
sanità ecc. ) all’interno del gruppo sociale.
È importante rendersi consci di alcuni principii
fondamentali, non leggi universali ma concetti base, prima di esaminare le singole istituzioni nelle loro
caratteristiche.
Il primo è che una istituzione può favorire (o
rendere più difficile) la creazione,
l’evoluzione o la distruzione dei rapporti umani. Non
può annullarli, o crearli dove non vi siano le condizioni necessarie.
Secondo: non esistono strutture valide in ogni luogo ed in ogni tempo.
La critica storica sulle rivoluzioni ha sbagliato completamente punto
di vista: “la rivoluzione francese è una rivoluzione borghese” ,
“la rivoluzione russa è stata una rivoluzione delle masse proletarie e contadine...”.
Puntando il dito su questi aspetti, ha dimenticato di farsi domande
più importanti ( o le ha volutamente ignorate perché esse potrebbero essere
rivendicate dalla sociologia) *.
Perché un popolo arriva a fare la rivoluzione?
Apparentemente la risposta c’è stata:
perché il popolo di Parigi non voleva mangiare le brioche sponsorizzate dalla regina Maria Antonietta. **
In realtà, dire che sono le condizioni di vita a portare
alla rivoluzione, non spiega gran chè.
Spostando il punto di vista si possono percepire alcune ragioni
più interessanti.
1) il mancato adattamento al cambiamento sociale rende le strutture
sempre più inefficienti fino alla loro completa inutilità. In quel
momento esse vengono sostituite ***
Note a pié pagina __________________________________________________
* O per non dover ammettere che gli accadimenti storici sono
materializzazioni di leggi fuori del tempo (astoriche) creando un pericoloso precedente per una visione
fisicistica dell’uomo. Il chè è poi
lo scopo, per l`appunto, di questa ricerca.
** In tutti i libri di storia viene riportato il seguente aneddoto, qui
citato solo nella poco probabile possibilità che ci sia qualcuno che non lo conosca ancora:
alla notizia che il popolo di Parigi non aveva pane, la regina Maria Antonietta avrebbe commentato:`Che mangino
brioche!’ Ma sarà poi vero?
*** Vedi anche cap. Metodo bang bang.
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2) l’illusione che il cambiamento della struttura porti alla
soluzione dei problemi che si vengono a creare nelle relazioni umane.
Questa, purtroppo è contemporaneamente la ragione dello
scoppio di una rivoluzione, ma anche del suo inevitabile fallimento. Il credere che se cambio il
sistema di governo ottengo finalmente giustizia sociale o ricchezza, diventa un alibi
rispetto a quelle che sono le uniche possibilità di evoluzione effettiva,
cioè le relazioni umane stesse.
Queste sono la materia prima su cui si basano e si devono basare le
strutture. Se quelle cambiano, cambiano anche queste, se le strutture cambiano ma quelle no,
prima o poi esse crolleranno.
La reale evoluzione della società dipenderà
quindi solamente dalla evoluzione del materiale umano.
Negli anni 60/70 si era diffuso un concetto che sembrava individuare
questo principio: si parlava di “rivoluzione permanente”.
Veniva posto in evidenza, seppur con una ottica più
ristretta, proprio questa relazione.
Purtroppo il legame con una ideologia
“rivoluzionaria” * che per l’appunto
metteva in primo piano la rivoluzione come fine, impediva di consolidare questo
nuovo ( quasi quasi sarei per dire rivoluzionario) punto di vista.
Se fin qui i riferimenti sono stati a strutture di potere, questi
principi si applicano in realtà a qualsiasi altro tipo di struttura, ed inoltre come
rivoluzioni vanno considerate quelle in entrambi i sensi, sia evolutive che involutive.
Alla luce di questi principi l’analisi sulle strutture non
potrà essere che limitate a pochi aspetti per esemplificare il metodo, poi generalizzabile adattandolo ai
vari momenti e luoghi.
Note a pié pagina __________________________________________________
* È interessante notare che una “rivoluzione
permanente” è in realtà completamente
antitetica e distruttiva dell’idea stessa di
“rivoluzione”, proprio perché nega che
il cambiamento immediato di una struttura sia efficace ed afferma la necessità di un
cambiamento continuo del materiale base (l’uomo) e non ( o in secondo luogo) della struttura.
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SCUOLA ED UNIVERSITÀ
Quale è il compito della scuola nella società?
È una domanda che non viene mai posta. Tutti si chiedono
cosa essa deve fare ma nessuno perché. Eppure sarebbe estremamente importante
chiederselo.
Probabilmente la opinione più diffusa nella
società comune ( quella del senso e del luogo comune) è che essa deve educare i nostri figli,
perché domani possano trovare lavoro.
No. Non basta. Anzi la scuola, quella pubblica (perché poi
ognuno ha il diritto di imparare ciò che vuole), ha due compiti fondamentali, senza
i quali per nessuno vale la pena di pagare una quota di tasse per far si che il figlio del suo
vicino diventi dottore e si faccia poi pagare anche lui un sacco di soldi una volta laureato:
1) essa deve essere un investimento ( per cui vale la pena
sì di spendere il denaro versato in tasse) per incrementare la civiltà e
l’intelligenza di tutta la società
2) Produrre cultura comune di cui tutti possano usufruire.
Il corollario di queste enunciazioni è che della scuola
devono poterne usufruire tutti: bambini giovani adulti e vecchi!
Essa rappresenta il più importante investimento di risorse
umane che la società può fare: da essa dipendono tutte le possibilità di sviluppo. Se
la scuola non insegna la storia essa crea dei disadattati e soprattutto delle persone che
ricommettono gli stessi identici errori dei nostri progenitori. Non la si può
insegnare come se fosse una telenovela.
Se la geografia non viene insegnata come è necessario i
nostri figli ignoreranno le differenze ma soprattutto le uguaglianze con gli altri popoli della
terra, e continuerà l`odio stupido tra una nazione e l`altra. Non si può
insegnare la geografia come un elenco di luoghi, magari interessanti per la villeggiatura.
Bisogna invece insegnare quali soluzioni hanno trovato gli altri popoli
al problema principale dell’umanità che
è “vivere”. È il vedere che
appunto gli altri hanno gli stessi nostri problemi che crea la solidarietà.
Così vale per tutte le altre branche della conoscenza.
La scuola nei suoi vari gradi dovrebbe rappresentare il punto di
incontro per tutti per imparare, per dibattere per creare e provare nuove teorie. Lasciare la
scuola (comprendendo naturalmente l’università in questa) isolata dalla
società reale significa permettere ad essa di compiere ricerche e studi che si possono rivelare
completamente rovinosi per la stessa società, a solo e puro vantaggio di
strutture di profitto.
Innalzare il livello di intelligenza medio è il problema
fondamentale per la sopravvivenza della società umana.
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Fondamentale certamente, per coloro che non vogliono pensare alla terra
come al “Pianeta delle scimmie”.
Ma in questa schiera dovrebbero esserci tutti coloro che sperano di
vivere ancora almeno qualche anno di vita, perché proprio dalla riuscita
della scuola dipendono molte probabilità che questo possa avverarsi.
Se la scuola non crea cittadini onesti, cioè sostanzialmente
intelligenti, nessuno può pensare di ottenere una società onesta.
Se la scuola non rende intelligenti i suoi allievi quel tanto almeno
perché capiscano che è da imbecilli drogarsi e non da
“uomini”, essi si continueranno a drogare.
Se essa non comunicherà ai suoi allievi il virus della
curiosità ed il piacere del conoscere ed essi non riusciranno ad essere tanto occupati a scoprire il mondo da
dimenticare la droga, essi si continueranno a drogare o con la droga reale o con
quella virtuale (che è la stupidità) e man mano che essi invecchiano
avremo sempre più una società violenta ed incapace di prendere decisioni intelligenti di fronte a potenziali
di sofferenza che diventano sempre più grandi.
Solo a pensare alle potenzialità distruttive delle nuove
scoperte, si dovrebbero rizzare i capelli sulla testa. La manipolazione genetica, le alte energie e i
nuovi confini della fisica delle particelle, i prodotti chimici ecc. sono sempre
più alla portata di chi voglia usarli a danno degli altri. Solo un controllo attento ed irrinunciabile
da parte di tutti può impedire questo. Ma perchè possa esistere
deve esserci una conoscenza più diffusa e profonda da parte di tutti.
Questo è il compito principale, della scuola, non quelli di
essere un posto dove poter ‘...brucare un po’ di matematica ... ‘
(G.Gaber)
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LE STRUTTURE DELLA SANITÀ
Probabilmente, le strutture sanitarie sono quelle che richiedono le
minori giustificazioni, ed in effetti sono tra le più antiche e diffuse. Basti
pensare che anche nelle organizzazioni tribali esistono “ospedali” per i
malati (non interessa evidentemente in questo contesto quanto siano efficaci).
Le contrapposizioni a livello sociale riguardano quindi aspetti
funzionali, più che di necessità.
Coinvolgono l’alternativa tra costo pubblico o costo privato,
più che quella sulla loro esistenza o meno.
Uno dei principi che pur a fatica si stanno facendo strada nel campo
medico (almeno in quello ufficiale occidentale, perché esso è
già fondamentale nelle medicine alternative) è quello della unitarietà tra
benessere fisico e quello psichico.
Se decidessimo di buttare via le suddivisioni artificiali ed
artificiose nelle scienze umane, dovremmo unificare, se non tutte, molte branche in un una unica,
la super-medicina. Perché il benessere psichico e fisico dipendono
anche da fattori totalmente esterni al nostro fisico: ad esempio l’economia che determina
la mia possibilità di avere cure efficaci o di lavorare senza stress e paure per il futuro.
L’istruzione che mi permette di avere un lavoro di maggior ritorno economico o mi permette di
affrontare con maggior consapevolezza e tranquillità i problemi che la vita
genera. La politica tra gli stati che potrebbe portare a subire menomazioni agli organi del mio
corpo per cause belliche ecc.
Ancora una volta è necessario fare dei bilanci con voci
economiche ed extraeconomiche, qui forse più che altrove, evidenziate nella loro
interdipendenza.
Per questo qualsiasi teoria economica che contrapponga pubblico e
privato in questo campo è puramente fallace.
Pagina 42
LA FOLLIA
Innanzitutto bisogna chiedersi cosa è.
Spesso essa è stata confusa con la devianza o con
l’extranormalità. *
Questo ha ingenerato una confusione che ha impedito di giudicare
correttamente i fatti.
Hitler non era pazzo. Egli era perfettamente lucido, aveva degli
obiettivi chiari e coerenti.
Certo, gli mancava quel livello di intelligenza che gli permettesse di
valutare una strategia a lunghissimo termine vincente. Ed infatti, per nostra
fortuna, sbagliando a
valutare il peso dell’altra parte dell’universo ha
perso la guerra.
Ma il considerarlo pazzo, anche se può essere apparentemente
una risposta facile ** , ci impedisce di valutare a fondo il fenomeno, a capire (e ad accettare)
che la sua dottrina era il punto di arrivo di almeno due secoli di filosofia
tedesca che passava attraverso Hegel, sia nei concetti di razza dominante che
nell’assolutismo del potere.
Una volta che sia data per certo l’esistenza di concetti ed
idee assolute a cui l’uomo può solo attingere ma non creare con la sua intelligenza,
allora si tratta solamente di stabilire solo quali idee sono gerarchicamente le più
importanti.
E varrebbe la pena di fare uno studio completo, da questa ottica, anche
solo sulla triade classica: dio patria famiglia.
E a questo punto, se i concetti e le idee sono precostituite allora
solo l’uomo superiore è in grado di conoscerle, *** e quindi è giusto
che esso domini chi questo non lo può fare, cioè la natura gli animali e le altre razze che non si
sono evolute a sufficienza (in particolare poi quelle che oltre ad essere inferiori hanno in mano
tutta l’economia di un paese e ne impediscono il destino, come gli ebrei).
Da questa ottica allora si può incominciare a capire che
Hitler poteva anche ritenersi (dal suo punto di vista e da quello dei tedeschi in generale) come un
buon politico che cercava il bene del suo popolo, che essendo il più
avanzato sul piano culturale,
Note a pié pagina __________________________________________________
* È preferibile usare questo termine, anziché
anormalità, perché mette in evidenza non un
antitesi con la normalità, ma il fatto che a questa è
qualitativamente omogenea pur essendo quantitativamente agli estremi della normalità.
** Ma poi in realtà facile non è,
perché poi genera altre domande: ad es. è
possibile che tante persone lo seguissero, ciecamente? erano tutti pazzi? ecc.
*** Come dovrebbe saltare subito agli occhi, questa implicazione logica
è errata, ma è stata in realtà utilizzata sempre così
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aveva il diritto sacrosanto di occupare il posto a lui riservato nella
storia e di dominare gli altri.
Gli stessi meccanismi (non necessariamente le stesse concezioni di
base), possono essere usati per spiegare tanti altri uomini designati come pazzi:
Stalin, Saddam Hussein ecc. (o che sicuramente lo saranno designatiin futuro come George Bush)
Che cosa è allora la follia, dal punto di vista medico?
La follia è un metodo sbagliato di difendere sè
stessi dalla sofferenza. Sbagliato a tal punto che in alcuni casi diventa un vicolo cieco, come nel caso del
catatonico che chiude ogni canale di comunicazione con l’esterno per
annullare qualsiasi stimolo che potrebbe aumentare la sua sofferenza.
Può sembrare strano come pochi abbiano affrontato la cosa da
questo punto di vista. A parte Freud che proprio per questo ha scoperto i meccanismi del
profondo. * In realtà la capacità di affrontare a viso aperto la
propria sofferenza richiede una intelligenza (e anche un coraggio) extranormale.
Ma la strada in questo senso è ancora molto aperta,
soprattutto per trovare metodologie di intervento efficaci che tengano conto dei processi mentali, e non
delle situazioni finali generate da questi processi.
Uno dei principi fondamentali è che pochi altri
comportamenti umani sono così coerentemente logici come quelli di un pazzo. Può sembrare
un paradosso, ma se lo si guarda dal punto di vista della sofferenza e della paura della
sofferenza, allora diventano chiare le motivazione e decisioni derivate dalla follia. E
queste, paura e sofferenza, sono spesso unite ad una sensibilità sopra il
normale. Non è affatto un caso
che molti grandi artisti abbiano sofferto di pazzia. La loro
sensibilità ed intelligenza li rendeva più vulnerabili (come una persona che abbia una
grande capacità di visione notturna è più facilmente abbagliata da una luce
intensa) di fronte a situazioni per loro dolorose e di cui intuivano l’impossibilità di una
soluzione, fosse questo dal punto di vista esistenziale, morale o altro.
Ed in effetti solo un reale artista poteva descriverci ed insegnarci,
il cammino di sofferenza e il punto di arrivo inevitabile di esso.
Nesun altro è stato in grado di raccontarci questo come Van
Gogh: dalle prime opere come i “Mangiatori di patate”che evidenziano la sua
sensibilità e la sua sofferenza derivante dalla sua impossibilità a modificare quella
realtà, fino ad arrivare ai momenti di introspezione e di crisi di identità completa della
“sedia ad Arlem”e al suo"
Note a pié pagina __________________________________________________
* Preferisco questa accezione perché ricollega,
più che ad una concezione di es ego e super ego, ad una di più livelli elaborativi del nostro cervello simile a
task, in termini informatici, di uso comune e
quindi non più verificati da lungo tempo nella loro
integrità e capacità funzionale che continuino a lavorare
in sottofondo (background) contrapposti a quelli che lavorano
in evidenza (foreground).
Potrebbero essere quasi paragonati al sistema operativo di un computer
(es) e programma applicativo (ego) .
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autoritratto con l’orecchio tagliato", per imboccare la
strada della chiusura in sè stesso rappresentata dai “cipressi di notte”dove ogni cosa
assume l’aspetto di turbinio o meglio di gorgo fino alla “Cattedrale di Reims”
tutta scura e contorta, senza una luce che la illumini dal di dentro, ormai materializzazione di una religione
capace solo ad incutere altre paure e sofferenza ma incapace a dare speranze ed una
via di uscita, e il giro ormai vuoto e senza nè senso nè scampo
dei malati mentali del manicomio in cui finì per essere rinchiuso.
In questo senso uno studio dei suoi quadri dovrebbe essere il manuale
fondamentale per la psichiatria.
Ma questo punto di vista offre anche un elemento per intervenire: mette
in risalto il fatto che per ridurre la follia bisogna ridurre la sofferenza e le
occasioni che la generano, questo è anche il senso della teoria di Basaglia, ma che ben
pochi hanno capito in queste implicazioni.
È chiaro che la depressione, che ne è uno dei
primi stadi, sempre o quasi sempre nasce da una condizione reale che impedisce la realizzazione di qualcosa
desiderato, e quindi il rimuovere questa causa è uno dei metodi di
intervento più efficaci. Se sono depresso (e quindi soffro) perché sono disoccupato lo
diventerò ancora di più per non potere avere più una casa e quindi non potere avere o vivere
con i miei figli ecc, in una serie di situazioni concatenate che aumenteranno il livello di
depressione fino a ché tutto è impedito, realmente o nelle
aspettative, e il dolore alla rinuncia diventa insopportabile. A questo punto, la mente utilizza i meccanismi che ha
disposizione: menzogna, sogno, fantasie, per mascherare quella parte della
realtà che ferisce, fino ad isolarsi, all’estremo, completamente da essa.
Ugualmente le turbe dell’infanzia sono il residuo di
esperienze di sofferenza, che la mente ricorda e mette a confronto con la realtà attuale, per
trovare legami ricorrenze
e analogie, e quando ne trova una, si aspetta una esperienza dolorosa e
prende una precauzione per evitarlo. È come spegnere il fornello per
non rischiare di non scottarsi.
In questo senso i complessi freudiani non sono che dei semplici casi
particolari.
Nell’esempio precedente la possibilità di un
lavoro sarebbe quindi la medicina giusta, prima che la depressione si trasformi in pazzia.
Un problema economico quindi che mostra la sua implicazione umana,
conformemente all’ottica di un bilancio extraeconomico.
Così come un maggiore livello di istruzione sulle
problematiche infantili ed un approccio più intelligente ed
aperto verso la
realtà da parte dei genitori e della società possono
ridurre e razionalizzare la sofferenza, istintiva e ingenerata
dallo shock della vita, del bambino.
Ancora una volta una società sinergicamente positiva, tende
a rendere maggiormente positiva la situazione individuale, e quindi ad aumentare la propria
sinergia.
Gli interventi posteriori, cioè il recupero dei malati
mentali, è difficile e con basso livello di successo inversamente proporzionali alla
profondità della “malattia”, soprattutto
se non tengono conto di queste considerazioni.
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L’AUTODIFESA DELLA SOCIETÀ
Uno dei punti più discussi e che più divide la
società è certamente la realizzazione della giustizia.
Purtroppo, proprio per questo, è l’argomento che
ha ingenerato la maggior parte di preconcetti e luoghi comuni, che hanno impedito finora di trovare
soluzioni stabili.
Soprattutto ha fatto dimenticare i concetti e le ragioni fondamentali:
a) Che cosa è la giustizia? Il concetto più
coerente è: che ognuno possa ottenere una contropartita al suo modo di operare. Questo però allarga
notevolmente il concetto corrente e ne fa intravedere un altro aspetto, cioè che la
giustizia dovrebbe avere due valenze: una negativa cioè repressiva nei confronti di chi
opera male ed una altra premiale verso chi opera bene.
In realtà questo secondo aspetto è quasi ignorato
in qualsiasi corpo giuridico di qualunque paese (se non in situazioni estremamente particolari).
b) Quando si opera bene e quando si opera male?: il concetto corrente
è che si opera male quando non si opera in conformità delle leggi, bene
nell’altro caso.
Il concetto espresso in questo modo non è corretto, per 2
ragioni:
1) Parte dal presupposto che le leggi siano tutte e sempre giuste.
2) Viene utilizzato solo uno dei due aspetti, nel senso indicato prima,
cioè quello negativo.
è più corretto utilizzare i concetti di sinergia
e di rendimento: si opera bene quando si aumenta la solidarietà sociale e male quando la si
diminuisce.
Od in altri termini: quando si diminuisce o si aumenta il livello di
sofferenza.
Assunto questo principio, tutte le nostre leggi e le nostre istituzioni
dovrebbero essere riviste.
I) il corpo legislativo: non esisterebbe solo un “codice
penale” ma anche uno “premiale” che stabilirebbe doni a chi opera bene. Questo potrebbe tra
l’altro essere un incentivo a comportamenti positivi verso la società,
cioè atteggiamenti che tendano a migliorarla.
(nota: in realtà esistono forme premiali nella
società, ma vengono recepiti in questo senso di dualità rispetto alle forme repressive).
II) la pena: il pensare che la pena debba essere sofferenza
è, per quanto detto sopra, già un modo di pensare ingiusto. Generare sofferenza, anche
ad un criminale, non può diminuirla a livello generale: è una
contraddizione matematica.
Vale allora porsi un’altra domanda: quale è la
funzione della pena?
In effetti è una delle domande più antiche e a
cui tutti cercano di dare una risposta.
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Proviamo a vederla alla luce dei concetti fin qui affrontati:
1) è il rifondere il danno e la sofferenza a chi essa ha
subito.
2) è impedire che l’atto che ha generato
sofferenza venga commesso nuovamente.
Ci sono alcune considerazioni da fare:
Solo queste due risposte sono compatibili con il concetto di giustizia
prima utilizzato.
La legge del taglione, vale se usata con oggetti materiali, ma non su
persone, poiché la sofferenza di una persona non può essere neutralizzata
con quella di un’altra. Come è possibile, nel caso estremo, compensare la vita a chi
l’ha persa ? Certo può far piacere ai famigliari della vittima sapere che il colpevole subisce una pena,
ma questo compensa, e per sempre, la perdita del loro famigliare? Ma che piacere
può essere quello che si prova alla sofferenza di un altro? In realtà
alla sofferenza della vittima si aggiungerà anche quella del colpevole.
Che questo sentimento non sia giusto, per corto egoismo, e contro la
solidarietà è evidenziato dall’atteggiamento di famigliari in molti
processi, che sono soddisfatti di una sentenza di condanna verso un imputato, anche quando ci sono molti
dubbi sulla sua correttezza, o peggio di delusione se il tribunale lo assolve. Non
dovrebbero essi stessi voler essere assolutamente sicuri, al di là di ogni
ragionevole dubbio che il condannato sia proprio chi ha commesso il misfatto?. Se il colpevole
è un altro e non il condannato, non sarebbero due volte colpiti e violentati dal fatto
che il colpevole non è punito e c’è una persona
condannata ad una pena non sua ( e quindi violata nei suoi diritti e colpita con una sofferenza immeritata)?
Inoltre il punto 2 può essere analizzato sotto altri due
aspetti:
a) la pena detentiva o coercitiva verso determinati atti (ad esmpio il
cambio di città, o il non poter frequentare determinati luoghi) è una misura
cautelativa fisica per evitare il ripetersi della azione delittuosa.
b) l’isolamento dall’ambiente abituale del
condannato dovrebbe esse un aiuto ad un riesame e valutazione del delitto commesso e delle sue ragioni.
E’ i n questo momento che la solidarietà sociale può avere un effetto
determinante (‘ Vistare i carcerati...’). Di sicuro tutto ciò che tende a violare o ridurre la
dignità di sè di una persona, anche se è un criminale, non fà che generare una sinergia
negativa
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LA BUROCRAZIA
La parola burocrazia è uno strano neologismo nato dalla
parola francese bureau (ufficio) e greca cratia (potere), per significare, nella gestione
della amministrazione statale, l’importanza degli atti formali su quelli
sostanziali e di merito.
Ma oltre alle strutture pubbliche essa si può ritrovare
anche in quelle private, sempre più in funzione delle dimensioni di queste.
A parte la legge di Peter, sempre valida considerando il meccanismo
interno, esiste una ragione strutturale, dipendente dalle leggi statistiche della
media.
Più una azienda è grande, più il
valore medio di intelligenza tende ad abbassarsi.
Potrebbe sembrare una condizione in contrasto con la media, per cui in
una azienda dovrebbero esserci stupidi, intelligenti e mediocri almeno nelle stesse
proporzioni della
media nazionale.
Non agli inizi. Creare una azienda, richiede capacità sia
nel settore di intervento sia a livello commerciale sia a livello amministrativo. Quindi in genere
l’imprenditore è
una persona un po’ più attiva ed intelligente
delle persone del suo ambiente.
Quando il suo tempo non basta più egli comincia ad assumere
dei collaboratori. Sa cosa gli serve e come li vuole. Ingrandendosi l’azienda
comincia a necessitare di collaboratori a livello più alto: ad esempio di un
contabile, perché diventa necessaria una contabilità in partita doppia. L’imprenditore
ottimo tecnico del suo settore ma assolutamente in capace di ragionare in termini contabili, al di
là di guadagni -costi = ricavi, deve scegliere una persona di cui non è in grado di
valutarne le reali capacità.
Difficilmente però sarà disposto ad assumere
qualcuno che gli appaia troppo bravo, il quale in seguito potrebbe anche fregarlo.
Così come difficilmente, se è un tecnico,
assumerà un tecnico più in gamba di lui il quale poi potrebbe lasciarlo ed aprire una attività
concorrente, senza contare che
sarebbe frustrante dover comandare a chi ne sa più di te.
Quindi tende ad assumere dei collaboratori di intelligenza inferiori a
se stesso.
La stessa cosa avviene man mano che la scelta dei collaboratori si
allontana dalla direzione, quando il direttore dell’ufficio personale,
dovrà scegliere collaboratori nuovi, per ruoli che egli conosce solo amministrativamente, ma di cui
non conosce le caratteristica di base e le capacità necessarie.
Il peggio è naturalmente quando la ricerca del personale
è effettuata da organizzazioni esterne, che non conoscono realmente nè il ruolo
nè le necessità aziendali nè quindi le caratteristiche del personale, nè ulteriormente quindi
sono in grado di valutarne le capacità.
Inoltre all’interno di una azienda si formano gruppi di
interesse a vari livelli e nei vari luoghi, che tendono a preservare i piccoli privilegi che si formano e
soprattutto un metodo operativo consolidato che richieda da parte loro il minor sforzo
possibile per
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lo svolgimento delle operazioni indispensabili per non essere
licenziati. Chiunque entra in una struttura aziendale di dimensioni superiori a una decina di
dipendenti, e tenti di portare metodi nuovi che richiedano maggiore attività ed
organizzazione, si troverà a fronteggiare un ostracismo irriducibile da parte dei colleghi che
finiranno o per costringerlo ad un atteggiamento uguale al loro o per espellerlo.
L’ alternativa è solo tra queste due possibilità.
Va da sè che se le persone più attive diventano o
imprenditori o trovano impiego in piccole aziende dove possano esprimere ancora una parte delle loro
capacità, quello che resta a disposizione delle grosse aziende sono persone di livello
intellettivo basso.
Inoltre, poiché il lavorare in una azienda molto conosciuta
dà onore e poiché essa è grande si presuppone stabile, proprio chi già inizialmente
cerca un posto sicuro, e quindi con meno capacità e voglia di fare,
cercherà di essere assunto dalla azienda grossa, piuttosto che da quella piccola.
A maggior ragione per le strutture dello stato.
Ma il meccanismo coinvolge tutti gli aspetti di una azienda, non solo
le relazioni del personale: come può il tecnico di laboratorio far capire
all’amministratore che un determinato strumento gli è necessario, se
quest’ultimo non è anche lui, cosa quasi impossibile in una grande azienda, un tecnico almeno dello stesso
valore? E il tecnico come può eventualmente comprendere le necessità
amministrative che negano l’acquisto dello strumento? Nel caso poi che il tecnico fosse in grado di fare
valutazioni economiche prevedendo incrementi di rendimento finanziario dopo
quell’acquisto, si troverebbe l’opposizione netta e totale da parte
dell’amministratore che si sentirebbe scavalcato nelle sue competenze.
La soluzione potrebbe essere l’affidarsi a consulenti
esterni, non legati ad interesse di gruppi di potere interni o alle problematiche descritte prima, ma solo
alle proprie!
Il fatto è che dal momento che ci si affida ad un sistema
basato sull’interesse questosarà la legge
fondamentale di tutto. È ovvio che l’interesse
dell’azienda sarà tutelato da un esterno solo fintanto che questo aderisce all’interesse
di questo esterno.
In altre parole, se il o i professionisti esterni ritengono che un
servizio puntuale ed efficace sia la garanzia per loro per stare sul mercato essi si
comporteranno con professionalità e competenza. Ma questo non sempre avviene.
Anzi, in base a quanto già esaminato possiamo pensare che questi casi sono una
minoranza.
In effetti proprio nelle grosse aziende ed organizzazioni, e peggio
ancora nelle strutture pubbliche, possiamo notare le scelte meno adeguate al migliore
funzionamento delle
stesse.
D’altra parte il mediocre risultato che ne consegue
è in linea con un utilizzatore medio incapace ad immaginarlo e a valutarlo migliore.
Pagina 49
GENI E GENII
Un pregiudizio molto comune, è quello secondo cui chi si
occupa di ricerca avanzata sia sicuramente un genio.
Questo deriva dalla errata valutazione della definizione data
precedentemente: genio è colui che capisce quello che gli altri non riescono. Ma
questa è una definizione a livello generale, necessaria, ma non sufficiente.
La comprensione di un fenomeno coinvolge non solo
l’intelligenza ma anche informazioni specifiche.
Capire perché una mela cade per terra non è un
atto di intelligenza, basta leggersi un qualsiasi manuale di fisica che darà anche tutte le formule
relative di calcolo.
Scoprire il fenomeno senza avere prima queste informazioni, questo
è atto di intelligenza.
Questa è la differenza tra noi e Newton.
Qualsiasi fenomeno, anche avanzato, può essere scomposto in
una serie di fenomeni più semplici e che quindi richiedano una minore intelligenza
per la loro comprensione.
Se non fosse così, dovremmo pensare che sia
spropositatamente aumentato il numero dei geni dell’informatica, visto la quantità di
persone che ora si occupano di questa scienza (una volta chiamata anche “cibernetica”).
In realtà quello a cui si è assistito
è un allargamento dei fruitori delle tecnologie e delle informazioni che riguardano questo settore, quelle stesse che da
anni erano disponibili con più difficoltà di ritrovamento,
rispetto ad ora. Ma il livello di comprensibilità è lo stesso.
Questo vale in tutti i settori scientifici anche quelli apparentemente
più difficili ed avanzati, come la medicina e le biotecnologie.
Qualsiasi ricercatore, anche il più mediocre, in una
qualunque università od istituto di ricerca, ha a sua disposizione una disponibilità ora di
informazioni che comunque gli permettono per l’appunto di ricercare e di trovare qualcosa
più facilmente di un genio che non possa avere accesso alle stesse informazioni.
Il frazionamento della materia in parti sempre più
specializzate, sempre più dipendenti da informazioni acquisite che da una capacità intellettiva a
largo raggio, permette di ottenere risultati sempre maggiori in termini di tecnologie applicate,
pur senza comportare una crescita intellettiva allargata.
Tra pochi mesi, un qualsiasi studente dei primi anni di corso in
biologia sarà in grado di avere la sua pecora clonata, seguendo le istruzioni sul CDrom
allegato.
Alcuni anni fa era diventato di moda per molte donne cercare un partner
tra i genii, per poter avere un figlio genio pure lui. Adesso sembra la moda sia
finita.
Oggi però c’è la clonazione. Tutti
sognano di essere clonati per avere un figlio esattamente uguale a sè stessi. Il ché conduce ad
una serie di considerazioni:
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1) Bisogna avere una alta opinione di sè stessi, per pensare
che il modo voglia sopportare non una, ma due persone simili a loro.
2) il metodo della clonazione è stato già
abbandonato dalla natura * perché di bassa affidabilità. La probabilità che la clonazione
comporti errori genetici è alta, e quindi
uno potrebbe ritrovarsi con un figlio affatto uguale a lui.
3) Il risultato di un individuo dipende oltre che dai geni anche dalla
sua storia. Il suo carattere dipende dalla sua educazione, dalle esperienze e dai traumi,
dall’ambiente famigliare, dagli amici ecc. È perfettamente possibile
quindi che un individuo forte e volitivo si ritrovi con un figlio vigliacco od un individuo equilibrato
e tollerante con figlio violento. I conflitti che ne nascerebbero certamente
porterebbero a peggiorare la situazione ulteriormente.
Questa falsa idea del genio porta ad errori di valutazione comuni
estremamente gravi nei loro effetti:
Il ruolo dell’esperto. Spesso nei confronti di problemi che
si aprono nella società, problemi a vasto raggio, si riportano le valutazioni degli
“esperti” del settore (normalmente per tranquillizzare). Ad esempio sulle biotecnologie, quanti esperti
biotecnologi vengono chiamati dalle società che si occupano di prodotti
transgenetici per dimostrarci che tutto va va bene. Ma di cosa sono in realtà esperti?
Solo delle loro stesse tecnologie. E di medicina, etologia, ecologia, ecc. cosa sanno? Nulla.
E alla luce di quanto detto prima, quale è il loro livello
di intelligenza? Visto che son tanti, dovremmo pensare sia mediocre, ma sicuramente niente autorizza a
pensare che essi siano più intelligenti di chi pone certi problemi,
alla luce anche di una cultura meno settoriale, ma più vasta e capace di valutare meglio
insiemi di problemi concomitanti.
Non per niente, più di una volta è successo che
tecnologie date sicure ed irrinunciabili dagli esperti, siano poi state abbandonate dopo aver evidenziato in
modo inequivocabile quegli elementi negativi che “i non esperti”
avevano con più chiarezza ed intelligenza denunciato: tanto per fare qualche esempio: nucleare,
pesticidi, antibiotici ecc.
Questo considerare gli esperti come più intelligenti, spesso
è usato proprio per intimorire chi per forza di cose ha più dubbi ( i quali sono
figli indiscutibili della intelligenza), ed a far dimenticare che si sta chiedendo
all’oste se il vino è buono.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Nei pochi esempi che esistano di partenogenesi (cioè
autoclonazione), in particolare alcuni tipi di vermi microscopici, questo tipo di moltiplicazione viene utilizzato
solo quando le condizioni ambientali sono ottimali. Quando esse peggiorano, ad es.
siccità, compaiono i maschi e la riproduzione ritorna sessuata per ottenere individui più
resistenti alle avversità.
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LO STATO
Parrà forse strano esaminare solo a questo punto lo stato,
dopo le altre strutture che normalmente ne fanno parte e delle relazioni sociali che ne dovrebbero
costituire il
fondamento.
La ragione è che lo stato dovrebbe essere appunto il legame
materiale che unisce queste relazioni e queste strutture tra loro.
Ma lo stato cosa è?
Dopo che “l’état c’est
moi”, e che alla “grazia divina” si
è aggiunta “la volontà della nazione”, è rimasto il patto sociale (Locke).
Ma questo patto chi l’ha proposto e chi l’ha
firmato?
Ed inoltre quali sono i termini del patto?
Certo i giuristi conoscono le (loro) risposte. La firma è
virtuale: chi nasce in uno stato, è implicito voglia aderire al patto sociale di quello stato.
I termini del patto sono la costituzione. Questo può anche sembrare giusto, ma se io
però non fossi totalmente d’accordo con essa o non mi piacessero gli altri firmatari
del patto, non potrei concluderne uno con un altro stato?
No, se non in casi eccezionali: andandomene nell’altro paese.
E se non avessi denaro per farlo? Peggio per me. Ed inoltre, in molti casi (o paesi) mi
troverei con due patti da rispettare perché non è possibile rinunciare alla
cittadinanza (per esercizio il lettore faccia una indagine su quali sono le cause per perdere la cittadinanza
italiana).
E se io lo stato lo volessi più grande, tale che tutti gli
uomini ne facessero parte?
No non è possibile. Non si saprebbe più nemmeno a
chi fare la guerra!
Il patto sociale è indubbiamente il patto più
pesante che ognuno di noi deve, anche controvoglia, concludere. In base a questo, una persona deve rinunciare
in certe occasioni a tutto, anche alla propria vita. Oltre, naturalmente, ad
offrire comunque una parte della nostra vista, sia esso in tempo, danaro o lavoro il
ché è equivalente.
In cambio, e questa è la sua unica giustificazione, esso
dovrebbe garantire le migliori condizioni di vita ai suoi cittadini.
A parte il fatto che questa sembra essere una scusa un po’
tardiva, se fosse vera sarebbe accettabile.
Abbiamo visto che questo potrebbe essere vero solo ad alcune
condizioni: un governo di persone intelligenti, che siano in grado di intervenire velocemente
e con proprietà a risolvere i problemi sociali man mano che si presentano.
Ma poiché la distribuzione della intelligenza non
è uniforme, e ci sono quindi persone che non capiscono quali siano i comportamenti più giusti
nella società in cui vivono,
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lo stato interviene (ed in alcuni casi è l’unico
intervento che esso fa) creando le leggi, cioè regole che entrano a far parte del patto sociale.
Salvo casi eccezionali,(almeno in questo periodo storico) queste sono
fatte dalla maggioranza, e sono quindi per forza di cose leggi mediocri fatte per i
mediocri.
Se partiamo dal presupposto che una persona intelligente sa quale
è il comportamento corretto nella società essa non ha bisogno di leggi, al
massimo di convenzioni *Come ad esempio il fatto che in strada si debba tenere la destra, che poi ha
la stessa giustificazione logica della sinistra: una vale l’altra.
È solo una decisione per dare un riferimento preciso per non creare del caos e del pericolo nella guida.
È lo stupido, che non ha la percezione della sua
pericolosità che necessita di una legge che lo costringa in un comportamento definito. Ma una legge mediocre
tenderà a costringere nella mediocrità anche la persona intelligente,
che invece avrebbe necessità e diritto ad un maggior spazio di manovra.
Ecco la ragione intima perché, di fronte agli studenti del
‘68 e del ‘77 che esprimevano delle necessità nuove e più aderenti alla
realtà sociale del momento, e quindi più intelligenti, c’era schierata la polizia che difendeva le
leggi della maggioranza che queste esigenze non capiva, e che, poiché essa era appunto
maggioranza, ha vinto.
Ma i problemi che gli studenti allora esprimevano sono rimasti,
perché quella vittoria era solo sui “sovversivi”. E la delusione degli
ideali, il vuoto di una vita espropriata, la rivoluzione mancata è rimasta. E a chi non ha saputo
ricercare soluzioni in sè stesso è rimasta solo la strada della droga, reale (ero e crack) o
virtuale che sia (disco music, new-age, televisione, Spice Girls ecc.). Ma il bilancio è
fortemente negativo.
E questa è anche la ragione per cui una parte, la migliore
della società si trovano così spesso contro lo stato: gli anarchici che dello stato non sentono il
bisogno, i cittadini del mondo che si predicano senza frontiere, gli obiettori che predicano
la fratellanza tra gli uomini e che tra fratelli non ci si uccide, i naturisti che si
sentono parte della natura in simbiosi con gli altri esseri viventi, tutte persone che
spesso fanno parte di tutte queste categorie contemporaneamente, perché tutte
queste sono figlie della intelligenza.
Questi concetti sono fondamentali, e precedono qualsiasi altra idea
sullo stato: il controllo del potere economico, il potere militare, l’etica
religiosa ecc.
Nessun governo può reggersi senza il consenso attivo o
passivo della maggioranza. Perché quindi una struttura economica o una setta religiosa
possano svolgere un qualche potere reale, essa deve ottenere la coincidenza dei suoi scopi
con i concetti comuni, benché parziali ma i più sentiti, della
maggioranza.
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ELEMENTI DI “ILLOGICA”
Se la logica è la scienza che studia la correttezza del
ragionamento, l’illogica dovrà essere la scienza che studia gli errori del ragionamento umano, e
sicuramente la materia di studio sarà assai più grave per questa che per
quella.
Un principio generale ed assoluto è che costa meno fatica
usare un preconcetto che arrivare a conclusioni meditate.
Questo è uno dei motivi per cui è così
difficile per una nuova teoria affermarsi. L’accettarla richiede normalmente un riesame dei propri
concetti e dei legami tra essi.
Meglio stare sul già sperimentato cercando di evidenziare e
di dare valore fondamentale a tutti quelle piccole apparenti contraddizioni che la teoria opposta
offre, per poterla poi negare. (È molto difficile poi avere
l’umiltà necessaria ad ammettere di avere sbagliato.)
Purtroppo questi tipi di ragionamenti, indice di stupidità.
sono molteplici e spesso apparentemente coerenti.
Cercheremo qui di evidenziarne solo alcuni esempi. In effetti sarebbero
utili interi manuali,
Falsi sillogismi:
il sillogismo è un ragionamento simile questo:
i napoletani non hanno voglia di lavorare, Totonno è
napoletano, quindi Totonno non ha voglia di lavorare.
Esaminando il ragionamento con la logica formale esso risulta essere
corretto. Quello che non lo è, è che sia vero il fatto che tutti i
napoletani non abbiano voglia di lavorare senza alcuna eccezione , altrimenti Totonno potrebbe rientrare in una
di queste eccezioni ed il ragionamento non potrebbe essere più
corretto. Ma è noto a tutti in realtà che i napoletani non hanno voglia di lavorare.
Falso tertium non datur:
esso esprime una alternativa assoluta tra due possibilità
opposte:
bianco o nero
chi non è con noi è contro di noi.
La falsità del ragionamento è nella valutazione
più o meno oggettiva della totale opposizione dei due termini: il bianco e il nero sono opposti solo ed
esclusivamente se la luce che li illumina ( e solo per il tempo che sono illuminati)
è assolutamente monocromatica. Nel secondo caso non è prevista la totale
indifferenza per noi o la possibilità di fare da paciere. Quindi sono ignorati gli
altri due casi pur oggettivamente possibili.
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Conseguenze alternative:
questo ragionamento: “se confessi di essere una strega vuol
dire che lo sei perché l’hai confessato, se non confessi è perché hai fatto il
patto col diavolo che ti impedisce di dire la verità e quindi sei una strega” a quanti
omicidi premeditati sul rogo, e non, ha portato?.
Tuttora è utilissimo a numerose categorie di persone, che
sanno di poter contare su una incapacità della società comune ad analizzare
e a capire l’errore insito nel ragionamento.
Statistiche:
qualcuno ha detto che nel citare statistiche durante un
dibattito, non è importante avere dati esatti, ma al contrario si possono inventare come
uno li vuole, poiché neanche la controparte avrà quelli esatti
da poter opporre e nessuno andrà a verificare la loro veridicità.
Inoltre il risultato di una statistica su fatti umani è
così complessa e dipendente dalle condizioni di misura, che la variazione di un parametro porta a
risultati totalmente diversi. Per questo è possibile portare a supporto delle
proprie tesi sempre qualche statistica particolare, come d’altra parte nessuno evidenzia
assieme ai risultati anche le condizioni e i parametri di indagine. Che poi sarebbero veramente le
cose da discutere.
L’illogicità è comunque una scienza
applicata che dà un notevole ritorno economico: basta guardare la pubblicità sia commerciale che politica.
Si suggerisce al lettore di provare, per esercizio, ad individuare
questi tipi di errori negli annunci pubblicitari di cui è fatto oggetto. Anche se non
avrà migliori vantaggi, gli consentirà di aderire al dettato pubblicitario con maggiore
autocoscienza, il ché tutto sommato non è così poco.
Un altro esercizio interessante è quello di usare nelle
conversazioni di tutti i giorni questi tipi di ragionamenti, usando come lemmi uno dei tanti pregiudizi
messici a disposizione dal senso comune.
Sicuramente avrà un successo pieno e acquisterà
la fama di persona molto intelligente.
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IL LAVORO
Il lavoro è un diritto fondamentale dell’uomo.
Tutte le grandi dichiarazioni e costituzioni affermano questo. Averne da esso un aumento della propria ricchezza,
non lo è.
In realtà ci sono aspetti del lavoro che sono sottovalutati
o completamente ignorati. Tra questi vi è il costo sociale dell’emigrazione:
a) L’emigrazione costituisce il trasferimento di un costo
dalla azienda di produzione a chi fornisce la forza lavoro.
b) essa costituisce un drenaggio di ricchezza dalla società
più povera a quella più ricca.
Le infrastrutture necessarie alla produzione (strade, strutture
primarie, servizi terziari) sono capitalizzati dalla realtà sociale che vive in quel
territorio, e che ne trae quindi anche il rendimento finanziario. Così i proprietari delle
case affittano agli emigranti gli appartamenti, e ne riscuotono la pigione ad un valore commisurato, non
al reale valore di mercato dell’immobile, ma alla necessità che
essi ne hanno ( del resto questo segue comunque la legge della domanda e dell’offerta), generando in
questo modo un flusso economico di ritorno di una parte notevole dei costi degli stipendi che
debbono pagare agli immigrati.
In questo caso vi è una ulteriore riduzione del valore
effettivo degli stipendi, cioè un impoverimento che ha come contropartita l’arricchimento degli
abitanti locali.
Se la produzione venisse fatta nel luogo di origine degli emigranti,
sarebbero essi a capitalizzare le infrastrutture e ne ricaverebbero, non un ricavo
finanziario diretto che andrebbe comunque ai proprietari delle strutture, ma un guadagno
indiretto dalla possibilità di utilizzo e per l’indotto che esse
genererebbero. Inoltre non dovrebbero pagare per affitti potendo utilizzare l’abitazione di
proprietà o pagherebbero molto meno per affitti commisurati al mercato locale, sicuramente
più a buon mercato di quello di una società finanziariamente più ricca.
Come contropartita vi è la sofferenza umana *.
L’attuale situazione dell’industrializzazione
cinese è una dimostrazione solo apparentemente contraria. Il capitale rinuncia a creare immigrazione solo a due
condizioni: quando il flusso diventa troppo alto, tale da sconvolgere il mercato
locale e richiedere notevoli investimenti in infrastrutture che assorbano i guadagni
indicati prima, e quando la popolazione di origine si assuma direttamente su di
sè costi umani (stipendi molto bassi, sfruttamento minorile, riduzione dei controlli di
salvaguardia ecologica
Note a pié pagina __________________________________________________
* Spesso per sostenere affitti elevati, tra emigrati un appartamento
viene condiviso da più famiglie con tutti i problemi e le conseguenze che da questa coabitazione derivano,
oppure sono costretti ad accettare alloggi fatiscenti o senza i servizi fondamentali,
appartamenti che i residenti non sarebbero disposti in alcun modo ad accettare.
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e medica ecc) più alti di quelli che il produttore dovrebbe
sopportare sul proprio territorio. Allora esso può tollerare che anche il guadagno
indiretto sulle sovrastrutture che la sua produzione genera vada alla società locale.
Ma ci sono altri aspetti che vanno esaminati intorno al lavoro:
a) La società produce più lavoro di quanto sia
necessario
b) È un paradosso ma il lavoro impoverisce
a) Il lavoro è creato da volontà individuali. *
Questo ha portato una totale e completa disorganizzazione delle infrastrutture, che disperde una notevole
quantità di risorse umane.
Chiariamo con alcune semplificazioni: un imprenditore crea una impresa
in determinato punto del territorio, scelto per sue ragioni per lui convincenti. Se
l’offerta di abitazioni nell’intorno di questo territorio non è
sufficiente o è nulla, una parte o tutti i suoi dipendenti abitando lontano e non potendo cambiare abitazione
saranno costretti a percorrere lunghi tragitti per una notevole parte del
tempo. Essi quindi
dovranno sopportare un costo aggiuntivo a quelli normali richiesti per
vivere per potersi pagare la benzina e l’usura della propria auto per recarsi al
lavoro.
Inoltre, poiché questo è valido a livello
generale, si crea un grosso flusso di auto, che nelle ore di punta, generano un alto livello di traffico che rallenta i
tempi di percorso rendendo inutile ed improduttivo questo tempo, genera stress che va ad
aggravare i rapporti umani e inquinamento atmosferico. In aggiunta ai costi diretti
si aggiungono quindi dei costi indiretti, che sono le percentuali delle tasse
destinate alla manutenzione delle strade, la regolazione del traffico, al costo degli psicofarmaci
forniti dalla assistenza sanitaria, agli interventi di salvaguardai ecologica ecc.
Una parte così non indifferente del lavoro serve per
guadagnare del denaro per pagarsi queste spese.
Basterebbe razionalizzare e programmare e concordare le strutture di
produzione e le infrastrutture per ottenere risparmi altissimi sui costi, e quindi la
possibilità di un notevole abbassamento degli stipendi senza diminuire la ricchezza
finale del singolo individuo.
Spero che nessuno abbia da obbiettare che in quel modo si crea lavoro
per le industrie automobilistiche, dei bitumi ecc. perché gli si potrebbe
rispondere che anche il darsi la zappa sui piedi crea lavoro per i medici. O basta anche pensare
all’indotto generato da un assassinio: lavoro per poliziotti, avvocati, medico legale,
periti di parte, fabbricanti d’armi, pompe funebri ecc. ecc. ecc.
Note a pié pagina __________________________________________________
* Questo vale certamente per l’occidente capitalistico. Per
l’oriente comunista pure. In realtà come apparirà dal contesto, pur essendo teoricamente una economia
pianificata non è esistita nessuna pianificazione delle strutture e delle risorse umane, ma esclusivamente
di produzione, con lo stesso identico risultato finale.
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Non per questo l’assassinio è una
virtù.
Inoltre non bisogna dimenticare, che le maggiori energie e il maggior
tempo a disposizione generano anch’esse un indotto altrettanto
importante, quello del tempo libero, ad es.: editoria, viaggi, educazione, divertimento ecc.
b) Il paradosso diventa più chiaro con un piccolo escursus
nel tempo:
In principio c’era il vagabondaggio: l’uomo era
nomade, tutto ciò di cui aveva bisogno era nella natura: la sua ricchezza era nella natura. Non necessitava di
altro.
Poi è diventato pastore e contadino. Egli per avere maggiori
comodità doveva adattarsi a restrizioni della sua libertà e della sua ricchezza: essa
non era più costituita dall’intera natura ma dal suo gregge e dalla sua terra. Però se voleva
poteva trovare una qualche zona libera in cui continuare a vivere libero e naturalmente
(cioè avendo come ricchezza la natura).
Questo stato si è sempre più ristretto, avendo
cominciato a pagare tasse e corvée alla comunità.
Il territorio libero si è anch’esso sempre
più ristretto fino a scomparire nei paesi civilizzati. Nessuno in un paese occidentale può pensare di
vivere esclusivamente della ricchezza della natura. Dopo poche ore si ritroverebbe costretto a
lavorare per pagare la multa per aver utilizzato senza autorizzazioni beni demaniali.
Di conseguenza, mentre nei tempi passati egli poteva aver garantita
perlomeno la sopravvivenza, oggi è necessario lavorare anche per poter
solo sopravvivere *. Inoltre tutta una serie di rapporti umani naturali, in particolare
all’interno della famiglia, sono stati prima sacrificati quindi sostituiti con surrogati a
pagamento (diretto o indiretto come i servizi statali).
La scuola materna è un esempio. Il rapporto madre-figlio del
tutto spontaneo e naturale è stato sostituito con quello del rapporto maestra-bambino
(sicuramente meno incisivo), che viene pagata dalle rette o dalle istituzioni (con il
denaro incassato dalle tasse, naturalmente!). Questa è un movimento economico
passivo in cui da un lato vi è il peggioramento della qualità della vita
insieme al denaro pagato, che è l’equivalente convenzionale di una quantità di lavoro. In contropartita
naturalmente c’è il guadagno per qualcun altro.
Indipendentemente da problematiche di tipo maschilista/femminista (non
si fa qui riferimento ad un sesso in particolare) e di casi particolari, questo
è dovuto al fatto, come afferma la voce popolare, che “uno stipendio solo non
basta più”. Questa
Note a pié pagina __________________________________________________
* Naturalmente è una esemplificazione di una
realtà ben più variegata. È chiaro che
per alcuni esisteva anche nell’antichità la necessità di
lavoro indipendentemente dalla loro sopravvivenza, cioè gli schiavi, e per altri la piùcchevvivenza senza
necessità di lavoro, cioè i ricchi padroni degli
schiavi.
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espressione implicitamente indica l’assunto: per sopravvivere
è necessario che entrambi i partner guadagnino denaro, poiché il valore del lavoro si
è impoverito.
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CAPITALE E CAPITALIZZAZIONE
Qualsiasi bene possediamo può essere catalogato in una delle
due categorie : durevole o labile.
Questa differenza è fondamentale. Beni durevoli sono quelli
che conservano un loro valore per un periodo di tempo molto lungo. Labili sono quei beni che
vengono consumati sia realmente (cibi) che virtualmente, cioè
perdendo il loro valore in un termine di tempo breve.
Naturalmente la suddivisione nelle due categorie per alcuni beni
è soggettiva. Ad esempio una lavatrice può essere classificata in una delle
due categorie a seconda della durata di essa che noi ci aspettiamo.
Anche nel tempo la suddivisione è cambiata. Nei dintorni di
Bazzano, un comune di Bologna, sono stati scoperti dei pozzi in cui sono state rinvenute
varie suppellettili e stoviglie là nascoste anticamente , molto probabilmente per
difenderle dalle razzie dei vari predatori barbari che nel medioevo hanno scorso per la zona.
I contadini del luogo hanno quindi salvato quelli che allora e per loro
erano beni durevoli(alcune di quelle stoviglie risalivano ad epoche precedenti
anche di secoli). Il fatto che la maggioranza di questi fossero stoviglie anche rotte o
rabberciate, può portarci ad alcune considerazioni.
Quello che per noi è di minimo valore per loro rappresentava
la loro intera ricchezza, capitalizzata in beni allora durevoli. In effetti costruire una brocca
allora richiedeva un sacco di tempo e quindi un costo alto.
Ora per ipotesi e per semplificazione pensiamo che il processo di
industrializzazione sia improvviso e con la tecnologia attuale, e immaginiamoci che
qualcuno in quell’epoca avesse aperto una fabbrica di stoviglie usa e getta: egli avrebbe
cancellato in un solo colpo la ricchezza così a lungo costruita di tutti quei
contadini.
Lo stesso fenomeno per quanto più attenuato e meno visibile
si verifica nella società attuale: l’obsolescenza programmata degli oggetti (non solo
quelli usa e getta, ma quelli che la moda o la tecnologia rendono in breve tempo obsoleti) impedisce
la capitalizzazione degli stessi e quindi costituisce una perdita di ricchezza, evidenziata
dal fatto che quegli oggetti siamo costretti a ricomperarli continuamente nuovi.
Con l’aumentare delle tecnologie che permettono di produrre
oggetti a costi sempre più bassi, si ridurranno sempre più i beni beni
durevoli che potranno essere capitalizzati, e quindi aumenterà la contropartita in povertà.
Per questa ragione il denaro (inteso come valore finanziario e non come
moneta) è oggi sempre più la struttura economica fondamentale della
società “capitalistica”. In questa luce diventa chiaro il perché del fallimento delle
società “comuniste”: il processo di industrializzazione porta inevitabilmente alla
preponderanza del denaro, e se la società non prevede forme di trasferimento da bene
capitalizzato a capitale
finanziario la società non può che impoverirsi.
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A meno che nel bilancio generale della società non vengano
messe anche una serie di voci extrafinanziarie cioè le risorse e le
attività umane, di nuovo come felicità salute cultura ecc.
In questo caso potremmo chiudere il bilancio anche in attivo, ed avere
una società che pur povera in termini finanziari, sia pur ricca in termini di
qualità della vita *.
Ma per arrivare a questo è necessario prendere delle
decisioni con delle consapevolezze che richiedono un livello di intelligenza ben superiore a quello
attuale. Per questo
il comunismo non è realizzabile.
Ascriviamo a contropartita il fatto che il credere che una
società capitalistica possa portare ad un miglioramento della qualità della vita
è pura illusione.
Purtroppo anche una via mediocre, intermedia o di compromesso ottimale,
richiede, perché essa sia stabile, un livello di intelligenza
superiore a quello che la media umana può offrire.
Un indicatore questo problema può essere il continuo
oscillare su vari livelli di “welfare state”e di spinte liberiste, che
più o meno avvengono in tutti i paesi (vedi capitolo “Metodo bang bang”). E non a caso i
consigli degli organismi finanziari, in specie quelli internazionali (es. FMI), sono incentrati sul ridurre
l’assistenza pubblica (che è un conto di solidarietà, cioè
un capitale extrafinanziario).
L’antitesi tra valore finanziario e valore extrafinanziario
è ben chiara a chi ha fatto la propria scelta di campo verso il primo valore, facendo proprio il
principio che per arricchire deve impoverire gli altri.
Decapitalizzando anche un valore extrafinanziario, come la salute, essi
sanno di produrre un impoverimento che si traduce in un arricchimento per quelle
strutture che operano su questo campo come ad esempio industrie farmaceutiche
ecc.
Naturalmente la giustificazione sarà che senza il guadagno
non ci possono essere capitali da investire nella ricerca.
Questo è vero, ma solo ed esclusivamente se si valuta in
campo strettamente finanziario.
Se ragioniamo in termini di bilancio allargato ai valori
extrafinanziari, questa affermazione è totalmente sbagliata ed antistorica.
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* Vale la pena di ripensare in questi termini alle popolazioni
primitive. Probabilmente esse hanno valutato in modo intuitivo (o forse anche in modo razionale, i nostri
preconcetti di occidentali sull’intelligenza ci impediscono di capirlo a fondo) questa
alternativa e hanno scelto questo secondo tipo di ricchezza. Bisogna ricordare anche la comunità degli
Amish che ha fatto questa scelta, proprio per conservare una ricchezza (naturalmente nella loro scala di valori)
come la purezza religiosa, rifiutando la moderna tecnologia.
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La maggior parte dei progressi fondamentali della civiltà
totale, non solo occidentale, sono stati raggiunti da persone che hanno agito non per accumulare
ricchezza (in termini finanziari) ma per realizzare pulsioni e curiosità
interne.
Per sincerarsene basta sfogliare qualche libro di storia antica o
moderna.
Per molte persone il piacere di capire o inventare qualcosa di nuovo
è più forte ed importante di qualsiasi altra ricchezza materiale. Solo per citare un
caso esemplare: Galileo che preferì il domicilio coatto piuttosto che
rinunciare al fatto che “eppur si muove”. *
Un paradosso è che se una società puntasse tutto
sui valori extrafinanziari i ritorni sarebbero sicuramente anche in termini finanziari.
Open-source ed Internet possono dimostrarlo. Se queste fossero solo a
pagamento non ci sarebbe stato lo sviluppo quasi incredibile di informazioni a
disposizione di tutti, compreso le industrie, che possiamo constatare con mano in pochi
millisecondi.
Wikipedia, Sourceforge, Commons solo per citarne i più
mportantii, sono tutti frutto di volontariato completamemte gratuito, che viene però
remunerato indirettamente dalla disponibilità diinformazioni, anche per il proprio
specifico lavoro, perchè “nissciuno nasce imparato” e le nuove cognizioni aumentano ogni giorno
in forma esponenziale. Nessuno può sapere tutto.
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* Un altro esempio e materiale di studio interessante è
senza dubbio la comunità del “Villaggio globale”, cioè quella comunità di
esperti, ricercatori, dilettanti che opera, senza scopo di lucro, tramite internet.
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L’AZIONE SOCIALE
Esiste gente che di fronte a situazioni umane pietevoli si sente
costretta ad intervenire. Peccato. È la gente indubbiamente migliore, ma è
anche purtroppo quella che consciamente o no deve pagare, sul piano umano, il costo più
alto di tutti.
Tra le conclusioni di questa ricerca: non è possibile
risolvere i problemi dell’umanità se questa non sarà in grado, nella sua quasi
totalità (cioè la maggioranza) di capirli.
Come ha dimostrato la storia, questo non si è tuttora
avverato nonostante il maggiore e generalizzato livello di istruzione. Se fosse stato il contrario,
dovremmo pensare che le generazioni attuali siano più intelligenti di quelle
passate. Indubbiamente è aumentato il numero delle conoscenze e degli strumenti a nostra disposizione, in
particolare su settori ben definiti della conoscenza, ma altrettanto certamente non
il livello di intelligenza *.
Il fatto che ancora esistono certi comportamenti a livello di
società umana, come ad es. la guerra testimoniano di questo assunto. Essa non è una
soluzione a dei problemi, questo dovrebbe essere ormai chiaro. Anche negli ultimi casi in cui
apparentemente sembrerebbe stata necessaria, questa necessità è
solo la diretta conseguenza di scelte precedenti sbagliate, ed ha lasciato di nuovo situazioni ancora
totalmente sbagliate.
In questa luce è chiaro che gli sforzi per quanto
encomiabili ed intelligenti di queste persone sono destinati irrimediabilmente al fallimento. Anzi tanto
più intelligenti e a largo effetto (teorico) tanto più fallimentari.
Questa è la ragione fondamentale del fallimento di mettere
in pratica le grandi teorie sociali: dalla politica di Platone, alla città ideale di
Tommaso Moro, al socialismo di Fourier, al comunismo di Marx all’Ecologismo (con la
maiuscola).
Certo l’opera di queste persone può portare dei
risultati: meglio due persone con una speranza oggi che la assoluta felicità per tutti ma domani.
Quello che è importante è che esse siano conscie
di quello che esse devono pagare, in termini di sofferenza morale ed umana, per qualcosa di cui
sicuramente non vedranno mai la realizzazione, ma non potranno neanche mai sperarne dei
risultati pieni.
Bisogna che tengano in mente alcuni principi:
1) se ciò che propongono è intelligente, avranno
sempre la maggioranza contro che non può capirli.
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* Gian Battista Vico affermava: “Noi siamo nani sulle spalle
dei giganti”. Noi ora dovremmo affermare: “noi siamo formiche sulle spalle dei nani!”
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2) se troveranno facilmente approvazione e supporto da parte di
qualcuno, difficilmente sarà qualcuno come loro, ma molto più
probabilmente sarà qualcuno che potrà trarre notevole profitto economico dalle loro idee.
3) quando il loro pensiero sarà arrivato alla maggioranza *
esso sarà tanto stravolto che difficilmente sarà riconoscibile.
4) per affermare le loro idee essi dovranno subire insulti, galera o
comunque altri danni personali. Nella assolutamente migliore delle ipotesi essi dovranno
sopportare la mal simulata derisione della maggioranza che penserà senza
esplicitarlo"ma guarda come è stupido, fa tutto questo per niente!". Quelli che non lo
pensano sono una minoranza.
5) anche se le loro teorie verranno realizzate in pratica esse saranno
sostituite dopo un certo tempo da altre totalmente opposte.
Una volta che essi sono consci di questo, liberi di farlo lo stesso (e
sicuramente lo faranno).
A chi dubita di questo l’onere della prova: indichi anche
solo pochi casi contrari nella storia
I pochi casi che sembrerebbero eccezioni a questi principi, in
realtà si pongono tuttora come soluzioni materiali a problemi pratici reali; la carica ideale
originaria è stata oggi assorbita in una generica ed mediocre senso di solidarietà
umana.
D’altra parte non si vuole negare che certe idee hanno
cambiato la società ed alcuni fenomeni sono spariti. Ma sono spariti solo come
“substantia” e non come
“essentia”, come manifestazioni reali non come categoria ideale.
La libertà non è il poter comprare la cocacola,
ma vivere con una qualità di vita garantibile dalle moderne possibilità scientifiche. Gli
schiavi romani vivevano obbligati a lavorare per i loro padroni. In realtà non è
molto differente da ora, rispetto a quelle persone che sono costrette a lavorare ormai anche per guadagnare il
denaro necessario ad acquistare la benzina e la macchina per andare al lavoro. Il fatto
che non sia un obbligo è una illusione che sparisce nel momento che essi si
ritrovano disoccupati.
Una società ottimale, non voglio affermare giusta anche se
in questo caso potrebbe essere un sinonimo, dovrebbe mettere nel proprio bilancio
(extrafinanziario) anche la sofferenza umana ed il costo sociale (inquinamento, energie disperse,
insoddisfazione e nervosismo ecc.) di chi deve affrontare un tempo lungo di
trasferimento tra casa e lavoro.
D’altra parte abbiamo visto che ci deve essere chi
impoverisce per arricchire gli altri.
Note a pié pagina __________________________________________________
* o “alle masse” che è la stessa
identica cosa
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Se ieri erano le popolazioni conquistate che permettevano ai cittadini
romani di vivere senza pagare tasse, oggi è il terzo mondo che paga con la
sua miseria affinché il vecchio mondo possa vivere ricco.
Ma questo farà parte delle conclusioni.
Quello che ancora è da mettere in risalto è che
bisogna togliersi l’illusione di un cambiamento generalizzato della società, meglio
accontentarsi di piccoli interventi, limitati a sfere di azioni che si possano dominare senza passare per
decisioni a maggioranza. E chi lo fa deve essere soddisfatto solo da questo.
Oltre a tutto ciò c’è ancora un aspetto
che va preso in esame: il rapporto tra volontariato e gestione sociale.
È abbastanza logico che dove le strutture pubbliche sono
deficitarie o assenti si sviluppino maggiormente strutture private senza scopo di lucro che
tentino di porre rimedio ai guasti causati appunto da queste mancanze. Eppure questo
aggrava una situazione, non la migliora. Sarebbe molto più logico che
queste risorse venissero spese per convincere la società della necessità di
queste strutture, come espressione della solidarietà che lo stato rappresenta.
È compito dello dello stato proprio la realizzazione di
strutture sociali, tali cioè utili all’intero complesso della società. Il
volontariato dovrebbe essere supplementare, non complementare.
Dovrebbe cioè offrire ciò che lo stato come tale
non può dare, come arte, conoscenza, idee, ed infine il controllo su di esso e la discussione la
propagazione di quelle idee su cui esso si deve basare, cioè la politica.
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CONCLUSIONI
Certamente, come potrebbe pensare il lettore, questo lavoro corre su
due filoni principali:
1) fissa dei limiti alle possibilità della comprensione e
della soluzione ottimale (se non proprio totale) della società umana. Una visione quindi
pessimistica.
2) pone delle valutazioni e delle proposte per il cambiamento della
società in una visione contraddittoria rispetto a quella precedente
È qualcosa di più del gramsciano pessimismo della
ragione ed ottimismo della volontà.
In effetti, come descritto nel capitolo sulla azione sociale, la
visione non può essere
che pessimistica. Ma l’azione sociale è un fatto
individuale, oltre che una componente
esistenziale dell’uomo, anche quando essa si manifesti come
negazione. Così sono
individuali le motivazioni su come esplicare questa
attività, per qualcuno sarà una
rivalsa, per un altro sarà per divertimento, per un altro
ancora un impegno morale o
qualcos’altro ancora. Non ha importanza.
Per molte di queste persone essa sarà comunque un tentativo
di migliorare la società.
Il conoscere la realtà dell’utopia,
potrà comunque dare il reale significato degli
eventuali risultati raggiunti. E non saranno certamente questi limiti a
fermarli. Come
per un atleta che sa di non poter arrivare a partecipare alle
olimpiadi, non smetterà
certo per questo di fare le gare locali dove possa avere soddisfazioni.
Possiamo quindi trarre alcune conclusioni, senza minimamente pensare
che esse siano
definitive.
Per quanto parziali, i concetti ed i meccanismi fin qui visti ci danno
una visione nuova
della sociologia, o meglio della società umana.
Soprattutto fissano, come alcune leggi fisiche, i limiti del nostro
universo (sociale).
Ormai sappiamo che:
1) la sofferenza umana potrebbe essere ridotta ma non potrà
essere eliminata.
2) una società giusta o per lo meno ottimale sarebbe in
teoria possibile, se il livello di intelligenza media fosse notevolmente elevato e:
3) che il massimo rendimento ottenibile è determinato dal
livello di intelligenza disponibile.
4) il rendimento è un indicatore valido per misurare
l’efficacia delle scelte effettuate.
5) molti dei concetti fino ad ora accettati dalla maggioranza sono
fallaci
6) esistono delle leggi fondamentali che governano i fatti sociali che
rappresentano il trasferimento a questo campo di leggi generali della natura
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7) il percorso che la storia umana segue dipende, secondo il principio
di causa effetto, dalle scelte che vengono di volta in volta effettuate, il punto di
arrivo dipende da ciò che si pone in cima ad una scala di valori.
8) alla luce proprio di questa scala di valori, che rappresentano
ciò che vogliamo nella vita, possiamo essere in grado di sapere in anticipo, utilizzando
queste leggi fisse, se questo percorso ci porta o meno nella direzione voluta. Come un
ingegnere progetta una macchina basandosi sulle leggi della fisica, potremmo progettare
esattamente il nostro futuro.
L’indagine è partita dalla politica e alla
politica si è conclusa. La cosa, per quanto non premeditata, non è casuale. Una delle conclusioni
è che le varie branche della scienza, che all’inizio sembravano indipendenti, hanno mostrato invece
legami tanto stretti da dover essere considerate come la stessa identica cosa, da guardare ,non
con uno, ma come Argo con cento occhi, dell’intelligenza
s’intende.
A chi ci vuole convincere che la sua soluzione per il progresso umano
è la migliore in assoluto, dovremmo d’ora in poi sempre chiedere: ma in
Eurosofferenza, o in Dollarisofferenza quanto ci costerà?
Ma ancora una cosa questi legami indicano: l’intelligenza
vera è quella che riesce a ridurre il più possibile il livello generale di sofferenza e
sa aumentare la sinergia positiva.
Quella che riesce a capire che “non ti devi chiedere per chi
suona la campana, essa suona per te!”(J.Donne). Proprio il fatto di essere
più intelligenti della media (cosa che non è un merito ma una probabilità statistica)
deve portare (ed in genere porta) ad una maggiore solidarietà con gli altri.
A pena di una vita sempre più vile, anche per i
più intelligenti!
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BIBLIOGRAFIA
La maggior parte delle biblografie a fondo volume sono composte da
lunghissime liste di libri, per lo più non trovabili, e più sono
lunghe e più c’è da dubitare che
l’autore li abbia letti tutti..
Poichè questa è una nuova frontiera, non possiamo
aspettarci di trovare trattati che funzionino da autostrada a questi argomenti, sarebbe un pura
contraddizione.
Non darò indicazione bibliografiche, oltre ai manuali
introduttivi sulle branche scientifiche (statistica, economia, fisica ecc.) qui toccate ed oltre
ad incitarvi a (ri)leggere i testi classici dell’utopia cioè
Karl Marx -Il capitale
Platone -La repubblica
Campanella -La città del sole
Tommaso Moro: Utopia
Erasmo da Rotterdam: Elogio della pazzia
Henry Thoreau -Walden o la vita nei boschi
KongZi (Confucio)-La grande Scienza-La via del mezzo -Analects
vorrei solo segnalarvi sul rapporto economia finanziaria e costi
extrafinanziari:
Israel Epstein-Breve storia della Cina moderna. Feltrimelli 1956 *
Manuel Scorza -Rulli di tamburi per Rancas **
Javier Moro, Dominique Lapierre -Mezzanotte e cinque a Bhopal
Franco Fornari -Psicanalisi della guerra;
Su scuola e società un testo ancora fondamentale:
Don Lorenzo Milani -Lettera ad una professoressa
Dovreste riuscire a trovarli in biblioteca o su Internet.
Ed ancora su Internet potete trovare altri spunti, informazioni, dati
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* Il libro è stato pubblicato solo in questa edizione
italiana
** Anche se raccontato come romanzo è la cronaca di un fatto
vero.